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Avvenire, il giornale dei vescovi riduce le radici cristiane della civiltà europea a mito e ideologia

Andrea Morigi
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Messi di fronte alla scelta fra la “leggenda nera” e quella “rosa” circa la civiltà cristiana, ci si potrebbe sottrarre per riflettere sull’eredità ricevuta dalle generazioni che ci hanno preceduti. Al quotidiano della Conferenza episcopale italiana, Avvenire, invece, sembrano quasi provare vergogna delle opere compiute dalla fede nella storia. Così, accolgono l’uscita in libreria, per i tipi di Einaudi, del volume di Sante Lesti, Il mito delle radici cristiane dell’Europa, con una benevola recensione di Matteo Al Kalak. Gli autori, del libro e dell’articolo, entrambi giovani accademici, vedono l’analisi scientifica scadere quando ciò avviene a danno delle istituzioni create nel corso dei secoli, per sostenere la tesi precostituita secondo cui la religione è stata strumentalizzata come l’elemento fondamentale e fondativo di un passato idealizzato, a partire dai contro-rivoluzionari francesi fino, addirittura, «all’attuale presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni».

Prima del giudizio storico sulla Cristianità è obbligatorio un esame di coscienza per la società che l’ha generata. Dal vecchio Continente è partita un’opera di evangelizzazione che ha portato nel mondo nuovo elementi di civiltà e semi di rivoluzione. Gli uomini della Chiesa non hanno sempre saputo indicare la strada della pace a chi pensava di diffondere il Vangelo con l’aiuto della spada. Anche perché gli stessi missionari andavano protetti per non essere fatti a brandelli. Attualmente le minoranze cristiane, sbrigativamente identificate con l’Occidente, sono sottoposte a persecuzioni anche violente e minacciate di sterminio. Anche perché non ci sono eserciti che ne tutelino la tranquillità nell’ordine o perfino la vita stessa.

 

 

 

Anzi, i totalitarismi nascono proprio, a partire dalla frattura dell’unità cattolica in Europa, proprio per la negazione del valore civile della religione. In parte è dovuto al rifiuto dell’identità cristiana, in nome di una malintesa laicità e del relativismo culturale che ne è un effetto, ma in parte anche al processo di demonizzazione di cui è stata vittima la comunità dei credenti. Che non sono tutti santi, evidentemente, ma in larga parte ispirati da virtù trasmesse nella Scrittura e nel magistero cattolico e meditate a fondo. Non sarebbero nati gli ospedali, se non si fosse preso l’esempio dalla parabola del buon samaritano. E non si sarebbero costruite le università, se insegnare agli ignoranti non fosse stata considerata un’opera di misericordia spirituale. Oppure non avrebbero avuto termine i sacrifici umani se non fosse stato compreso che il rispetto dei diritti fondamentali è scaturito dal sacrificio di Cristo per ogni singola persona.

 

 

 

Perché la fede diventi cultura e in seguito civiltà occorrono secoli. Lo hanno raccontato in modo magistrale autori come Christopher Dawson, Rodney Stark o James Bryce, anche se non fanno più parte del patrimonio formativo messo a disposizione degli atenei e nemmeno dei seminari da quando ha prevalso la tendenza all’autodemolizione. Che si riflette anche nell’apparato iconografico che sostiene l’articolo di Avvenire: un dipinto di François Flameng, Les massacres de Machecour, che attribuisce ai cattolici francesi della Vandea la responsabilità dello scontro. In fondo, bastava che si lasciassero massacrare per evitare una guerra civile e il genocidio che ne conseguì. Ma il diritto di difendersi - e soprattutto di difendere i più piccoli e i più poveri - fa parte dei diritti e dei doveri del cristiano.

 

 

 

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