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Superbonus? L'ultimo disastro: quanto ci costa

Antonio Castro

E per il momento il “conticino” si aggira ufficialmente sui 219 miliardi di euro. Sul groppone di tutti gli italiani, neonati compresi. Per ristrutturare un’infinitesima parte del patrimonio immobiliare italiano. La sintesi dei costi aggiuntivi, messa in colonna ieri da un imperdibile numero de Il Sole 24 Ore, è devastante (per i conti pubblici): nel 2024 il conto supera i 38,298 miliardi. Nel 2025 salirà a 39,799, salvo poi flettere leggermente (38,627 miliardi nel 2026), per l’anno successivo per scendere a 25,445 miliardi nel 2027. Un effetto boomerang per i conti pubblici italiani, che saranno ulteriormente zavorrati dai bonus edilizi concessi dall’esecutivo grillino e poi non stoppati (nonostante centinaia di interventi legislativi) dal governo Draghi. Scavando nei dati contenuti nell’ultimo report fornito dall’Enea e confermati dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, salta fuori una distinzione che certo non migliora i famosi «maldipancia» del ministro leghista.

Nel complesso tutti i vari bonus edilizi hanno raggiunto i 219 miliardi (al 4 aprile 2024, scadenza della comunicazione all’Agenzia delle Entrate relativa alle cessioni del credito), di cui oltre 160 miliardi soltanto per il Superbonus Volendo giocare con i numeri senza questo regalino («gli italiani potranno rifarsi casa gratis», pontificava Giuseppe Conte), quest’anno il debito/Pil sarebbe sceso dell’1,3% invece di aumentare di 0,5 punti. A frugare nelle tabelle del Def (pagina 72, sezione II del Def, quella dedicata alle “analisi e tendenze della finanza pubblica”), c’è da farsi venire ben più di una gastrite. Il calcolo mostra le ricadute sulla cassa, quindi sul fabbisogno e di conseguenza sul debito pubblico, dei «trasferimenti in conto capitale alle famiglie». La voce è quasi integralmente assorbita dai bonus fiscali all’edilizia, e quindi prima di tutto dal 110% che da solo copre circa i tre quarti dei 219 miliardi abbondanti spesi negli ultimi tre anni. I trasferimenti finanziari alle famiglie nel Def 2022 ammontavano a poco più di 1 miliardo all’anno.

 

 

Poca roba per i conti pubblici. Poi, in appena 24 mesi, questa voce del conto consolidato di cassa della Pubblica amministrazione sono è cresciuta di 20 volte. La causa di questo boom dipende dal meccanismo dei crediti d’imposta che negli anni successivi a quello di messa a bilancio sfoltiscono le entrate fiscali e fanno decollare il fabbisogno di cassa. Morale: bisogna ricorrere all’emissione di nuovi titoli del tesoro (debito pubblico). Come se non bastasse, l’effetto volano delle agevolazioni garantite ad una platea ristretta di beneficiari (solo 471.778 edifici coinvolti) non sembra aver innescato quell’effetto domino positivo che si stimava sulla crescita. Lampante invece l’impatto sul debito pubblico: dal 137,3% del Pil del 2023 al 139,8% stimato per il 2027, prima del modesto cambio di segno previsto per il 2028. Il tutto impegnandosi a non fare più un euro di deficit nei prossimi quattro anni.