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Imprese e governo per riformare il paese devono fare squadra

Bruno Villois
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La macchina delle riforme imposta dagli accordi europei per ottenere i fondi Pnrr, sta imponendo sostanziali riflessioni alla politica italiana.Il nostro Paese da ormai molti decenni mal accetta regole che impongano sacrifici, i quali riuscirebbero però a marginalizzare ed evitare che molti dei capitoli essenziali ritardino la crescita e ridimensionino i divari sociali tra meridione e settentrione.

Sono proprio le marcate differenze socio-economiche tra nord e sud a far si che il Pil italiano, a parte il breve periodo del post Covid, segnato però da uno straordinario precedente crollo, da inizio secolo abbia avuto una crescita complessiva vicina al 20%. Meno della metà della crescita tedesca e francese. Il nord sarebbe già ora ai livelli delle altre due locomotive europee, mentre il sud è schiacciato poco oltre la metà del livello del nord.

Tra i motivi che determinano le differenze ci sono quelli strutturali di viabilità, trasporti e logistica totalmente inadeguati non solo alle esigenze delle produzioni industriali e agricole, ma anche per l’attrattività turistica. Ma c’è anche un’istruzione di base deficitaria, mentre ci sono almeno cinque atenei di prestigio internazionale a far emergere differenza tra strati sociali particolarmente sostenuta. Accelerare la crescita del meridione favorirebbe un sostanzioso costante aumento del Pil. Ma ad incidere sui ritardi delle crescita concorre anche un deficit di imprenditoria, non certo per capacità e inventiva, ma per dimensionamento, carenza di mezzi propri e forte ricorso all’indebitamento, situazione che, in presenza dell’aumento del costo del denaro, sta determinando un forte calo degli investimenti. Il gap dimensionale e patrimoniale spinge un elevato numero di imprese di ogni settore a corrispondere salari molto bassi, condizione che deriva principalmente dalla medio bassa redditività di un grande numero di attività.

La riforma del fisco è opportuna, ma non è solo la pressione fiscale a rendere bassi i salari del lavoro dipendente, lo sono anche una scarsa accelerazione verso il lavoro specializzato, visto che ancor oggi la maggioranza dei lavoratori dell’industria e dei servizi di ristorazione e affini è poco formata e quindi generica.

Il governo cerca di muoversi per rispondere a tutte le situazioni che riducono le potenzialità della crescita. Ma sarebbe opportuno che ai disegni di modernizzazione l’esecutivo facesse partecipare, non solo per la stesura di programmi e obiettivi ma anche con l’immissione di propri impegni finanziari e sociali, le associazioni datoriali e i sindacati dei lavoratori. Questi ultimi tuttora troppo ancorati a principi vetusti. Il ricorso allo sciopero continua a rappresentare una forma di pressione, ma sarebbe molto più utile per il lavoratori che il sindacato proponesse alle associazioni datoriali forme di partecipazione alla programmazione e ai processi decisionali , come accade in Germania, dove nelle governance aziendali c’è anche una presenza sindacale.

Tocca però alle associazioni datoriali spingere i propri associati a dotarsi di adeguati mezzi finanziari propri per accelerare la modernizzazione delle imprese e la formazione dei lavoratori. Fare squadra tra governo e rappresentanze dovrebbe diventare l’obiettivo comune per far crescere l’Italia il più possibile sull’intero territorio nazionale.

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