La Ue ce la sta mettendo tutta per farla saltare, ma forse la trattativa sui dazi va in porto lo stesso. Con una percentuale del 15% che non ci manderà sul lastrico se Bruxelles inizierà a togliere un po’ di quelle tariffe interne che stanno soffocando le imprese da ben prima che Donald Trump si presentasse sulla scena. Se l’obiettivo sarà raggiunto, in ogni caso, non sarà certo per merito nostro.
Abbiamo passato gli ultimi mesi a lanciare allarmi sull’apocalisse imminente sui mercati finanziari, fregandocene dei reali andamenti delle Borse, le quali, tranne l’unico vero crollo del 2 aprile, il Liberation Day in cui il tycoon ha annunciato i dazi, hanno viaggiato col vento in poppa inanellando un record dietro l’altro. Wall Street ha da tempo recuperato le flessioni e registrato guadagni da urlo. E lo stesso hanno fatto i listini europei, con la nostra Piazza Affari che viaggia addirittura sui massimi da 18 anni. Se questi sono cataclismi, ad avercene.
Ma la vera passione degli europei, italiani ovviamente in testa, è stata quella di snocciolare ogni giorno cifre a casaccio sul potenziale impatto delle tariffe doganali. Fatevi un giro su internet e provate a vedere se trovate una sola stima identica a un’altra. Ognuno si è fatto i suoi bei calcoli e li ha sparati. Così, tanto per creare un po’ di panico.
Di fronte ai continui cambi di rotta di Trump qualcuno è persino arrivato a fare simulazioni per ogni percentuale annunciata negli ultimi mesi dal presidente Usa, con il conto dei danni in base alle tariffe al 10, 20 o 30%. Ad aggiungere caos al caos ci hanno poi pensato i negoziatori. A partire da Maros Sefcovic, plenipotenziario di Bruxelles per il commercio, che ha condotto le trattative con l’astuzia di un agente della Cia o dell’MI6. Nessuno ha finora capito quale fosse la piattaforma presentata dal Commissario Ue alla Casa Bianca per arrivare ad un compromesso. Segretezza massima per favorire il buon esito dell’accordo o semplicemente mancanza della piattaforma? Più passa il tempo e più i sospetti si accentrano sulla seconda ipotesi.
Ma il vero capolavoro è quello messo in atto dai facinorosi. Quelli secondo cui Trump va preso a cazzotti sul grugno. Ideona che ha continuato fino all’ultimo a raccogliere proseliti, malgrado gli esempi del Regno Unito e, ieri, del Giappone, che ha spuntato un accordo al 15% aprendo per la prima volta il suo mercato ad alcuni prodotti Usa. Sentite qua. Proprio mentre secondo indiscrezioni di stampa Stati Uniti e Ue «si stanno avvicinando» ad un accordo che livellerebbe i dazi al 15%, secondo fonti diplomatiche a Bruxelles sarebbe cambiato l'equilibrio dei Paesi sul ricorso al cosiddetto bazooka, strumento che accorderebbe poteri alla Commissione per intervenire in maniera aggressiva sul contenzioso. Ad esempio mettendo al bando le imprese Usa dalle gare di appalto europee. Secondo le fonti, «nel caso di un non accordo sembra esserci un'ampia maggioranza» per attivare una rappresaglia finora invocata solo da Parigi.
La realtà è che un eventuale al 15% comporterebbe un miglioramento rispetto alla situazione attuale soprattutto per le auto (oggi sottoposte a dazi del 50%) e acciaio e alluminio (oggi al 25%). Per il resto, spiega il Financial Times, sarebbe sostanzialmente mantenere lo status quo: un dazio Usa del 10% che si aggiunge a quelli preesistenti, che in media erano del 4,8%. Ma noi siamo pronti a caricare le armi.