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Il Prof ci ha preso gusto:siamo condannati a Monti

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Quando diceva che l'incarico era a tempo, il premier stava facendo la recita: l'idea di tornare all'università non l'ha mai sfiorato: ha la strada spianata fino al 2018

Andrea Tempestini
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  Nonostante l'aria disinteressata nei confronti dell'incarico che ricopre e il tono dolente per  la fatica di sopportarne il peso, non ho mai creduto che Mario Monti si preparasse a fare le valigie. Per quanto egli lasci trapelare una certa amarezza a causa dei giornali che lo attaccano e un forte malumore perché addirittura  il presidente di Confindustria si è permesso di  criticarlo, il premier in realtà a Palazzo Chigi ci sta come un topo nel formaggio e non si sognerebbe mai  di mollare la poltrona di sua iniziativa. Certo, nei mesi scorsi egli si è lasciato andare spesso a dichiarazioni che mostravano l'impazienza di tornare ai suoi amati studi e alle sue ben remunerate consulenze finanziarie. Lo diede ad intendere fin dall'inizio, quando si presentò al Senato spiegando che a lui toccava l'obbligo di impostare il lavoro per poi lasciare ad altri il compito di concludere le cose. Ripeté il concetto al principio di marzo con un'intervista a una tv americana, sostenendo di non essere interessato a proseguire l'esperienza  politica dopo il 2013. Ribadì la convinzione poche settimane più tardi durante il viaggio a Pechino, dicendosi sicuro che  a conclusione del suo mandato sarebbero tornati i politici. Infine tornò sull'argomento  ad aprile, nell'intervista che concesse al direttore della Stampa, rispondendo che dalla metà  dell'anno prossimo avrebbe guardato la politica dall'esterno, ovvero come un privato cittadino.   E invece ecco il nostro Professore che, con l'avvicinarsi della scadenza elettorale - appuntamento non più distante un anno e mezzo, ma solo otto mesi, un paio dei quali occupati dalle vacanze - eccolo, dicevamo, correggersi. L'idea di restare non è più così terribile da farlo inorridire al solo pensiero. Non c'è più quel distacco nei confronti del ruolo cui l'ha chiamato lo scorso anno il presidente della Repubblica, convincendolo nonostante l'ex rettore della Bocconi fosse restio.  Adesso il presidente del Consiglio non esclude l'ipotesi di proseguire il suo lavoro anche dopo la prossima primavera. Non lo esclude. Già, perché Monti non è uomo di affermazioni tranchant, ma è un docente abituato a smussare gli spigoli, a tenere buone relazioni e a parlare misurato: mica è Berlusconi. Da Aix en Provence, al tavolo del ristorante «Le Pigonnet», il premier si schermisce - così scrive l'inviato di Repubblica - ma lascia capire che non si oppone all'ipotesi. Non è convinto  sia il momento buono per annunciare che ci sta, anzi che è pronto al grande passo, cioè a rimanere per almeno un quinquennio, e dunque attende a sciogliere il riserbo. Il Professore teme di non fare il bene del governo se desse adesso la disponibilità.  Tuttavia, se si leva di torno la finta modestia, la ritrosia di fronte ai cronisti che incalzano, il dire e non dire di un uomo che ha scelto di dare di sé un'immagine riservata e distaccata dalle passioni, anche quelle politiche o calcistiche, si capisce che è sempre stata tutta una recita e il premier non sta più nella pelle all'idea di fermarsi almeno un lustro. E quando gli capiterà più, se tornasse a presiedere l'Università milanese, di sedersi al tavolo dei grandi non come un funzionario o burocrate della Unione europea, ma come uno degli attori delle grandi decisioni? Quando si ripresenterà l'occasione, da rettore, di conversare al telefono dei massimi sistemi con il presidente degli Stati Uniti, quello della Francia e la Cancelliera di ferro? Certo, anche prima il professore aveva buone frequentazioni e gli capitava di partecipare alle riunioni e di viaggiare. Ma adesso gira come una trottola e non è un docente che nel corso degli anni si è costruito una solida reputazione e una discreta fama: è il presidente del Consiglio di quella che, seppur acciaccata e impoverita, rimane pur sempre una delle grandi economie del mondo. Del resto, indipendentemente dalle dichiarazioni a giornali e tv,  che queste fossero le intenzioni sin dai primi passi risulta evidente da un fatto: quando Monti è salito al Colle per parlare con il capo dello Stato, una delle richieste avanzate è stata la nomina a senatore a vita. Che se ne fa uno di un seggio tra i vecchi barbagianni di Palazzo Madama se ha intenzione di tornare a fare il rettore e l'economista in giro per convegni? Il posto in realtà era funzionale al disegno di mettere un piede e poi qualcos'altro dentro la politica, ovviamente ai piani alti. Il disegno da questo punto di vista sta andando a gonfie vele, perché in pochi mesi si stanno sgonfiando invece quelle dei partiti, i quali di questo passo non saranno in grado di esprimere, la prossima primavera, un loro candidato alla guida del governo.  Dunque, con l'aiuto della riforma elettorale che sarà fatta in modo da bastonare i piccoli per lasciar spazio ai grandi, sarà inevitabile tenersi quello che c'è, facendo una bella ammucchiata dei corpaccioni di Pd e Pdl. La benedizione del  campanaro - Giorgio Napolitano è subentrato a Scalfaro nella funzione di fare e disfare i governi - c'è già: di quella degli elettori non c'è bisogno. Come dicevamo, il progetto procede che è una meraviglia. Ciò che invece si trascina con minor successo è la situazione economica, cioè il motivo stesso per cui Monti è stato chiamato e nominato salvatore della patria. Draghi dice che bisogna diminuire le tasse, cioè il contrario di ciò che fa il governo, se no le cose non vanno. E lo spread è di nuovo ai massimi, nonostante la presenza del professore e nonostante i suoi innumerevoli successi in campo interno ed estero.  Ah, già dimenticavo: la sua risalita è tutta colpa di una battuta infelice di Giorgio Squinzi. Come è noto in tutto il mondo seguono l'indice Squinzi, parametro che funziona meglio di Standard and Poor's o di Moody's. È a causa del presidente di Confindustria, dunque, se le cose vanno male. Anche perché lui produce il Vinavil, la colla universale che attacca alla poltrona e non ti fa staccare più.     di Maurizio Belpietro  

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