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Con L'Italia che tira la cinghiaFini è uno scandalo vivente

Lucia Esposito
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  C'è un politico che è uno scandalo vivente, testimone del peggior trasformismo e del peggior uso delle prerogative parlamentari piegate ai propri scopi personali. Il politico si chiama Gianfranco Fini ed è il presidente della Camera. I nostri lettori  conoscono bene il soggetto: si deve a lui se questa legislatura è finita come si sa, senza le riforme che ci saremmo aspettati da un governo di centrodestra e con il Paese commissariato da tecnici che prendono ordini da Berlino. I nostri lettori lo conoscono anche per le molte balle che ha raccontato e per le molte promesse che non ha mantenuto. Le prime riguardano la casa di Montecarlo, bene donato da una nobildonna al partito di Alleanza nazionale di cui Gianfranco Fini era il legale rappresentante e che stranamente finì nelle mani del cognato ad un prezzo largamente al di sotto di quello di mercato. La storia è nota e le indagini hanno appurato che l'appartamento era stato venduto al fratello della compagna del presidente della Camera, nonostante quest'ultimo avesse negato fino all'ultimo.  All'esplodere dello scandalo Fini disse di non saperne nulla, nonostante da più parti testimoniassero che egli stesso aveva scelto l'arredamento destinato all'alloggio nel principato. Messo sotto pressione, l'ex leader di An annunciò che se fosse stato provato un qualche suo coinvolgimento nella vicenda o che il vero proprietario fosse il cognato, egli si sarebbe dimesso dalla Camera, in quanto inadeguato a rappresentare la Terza carica dello Stato. Sono passati mesi, anzi anni, due per l'esattezza, e ormai ogni cosa concorda su un fatto: il fratello di Elisabetta Tulliani, la donna che ha dato due figlie a Fini, è il vero proprietario della casa donata dalla contessa Colleoni  al partito. Ciò nonostante, l'ex cofondatore del Pdl, l'uomo che mise i bastoni fra le ruote al Cavaliere un giorno dopo essere stato nominato ai vertici di Montecitorio, è sempre lì. Il suo partito è al lumicino, lui non conta quasi più nulla, ma rimane incollato alla poltrona.  Non molla sebbene in un accesso d'ira contro il leader del centrodestra avesse assicurato che se ne sarebbe andato il giorno stesso in cui Berlusconi avesse lasciato la presidenza del Consiglio. Sono passati quasi nove mesi da quando Silvio ha fatto le valigie lasciando Palazzo Chigi a Mario Monti, eppure Fini è sempre al suo posto, sempre a brigare per riuscire a stare a galla. Gli elettori gli hanno voltato le spalle e non c'è sondaggista che lo accrediti di un consenso superiore al due per cento, neppure sufficiente a farsi eleggere in Parlamento, ma  lui non si decide a voltare le spalle alla Camera ed andarsene. Dopo aver  tradito gli ideali di una vita passata a destra in cambio di una legittimazione a sinistra, quella di Fini è ormai solo una lotta per la conservazione della poltrona, dalla quale rivolge ogni tanto compunto i suoi sermoni. I lettori si staranno però domandando perché facciamo riemergere dai bassifondi della politica un simile personaggio, dedicandogli addirittura un editoriale e il titolo più importante del giornale. La risposta è semplice. Un lettore ci ha segnalato che da luglio a settembre in uno degli alberghi più belli di Orbetello, all'Argentario, ci sono nove stanze prenotate dall'entourage del presidente della Camera. Si tratta di alloggi per gli agenti della scorta che si occupa della sicurezza del leader di Fli quando questi raggiunge la famiglia in vacanza. La nostra Barbara Romano è andata sul posto e ha verificato la soffiata del lettore, trovando i riscontri necessari. Le camere sono riservate da settimane e vengono tenute a disposizione anche quando Fini non c'è perché impegnato a Roma nelle attività parlamentari. Il prezzo di listino per ogni stanza è di 180 euro, ma in questo caso sarebbe praticato un prezzo di favore di 120-140. Fatti due conti si tratta nella migliore delle ipotesi di 1.080 euro a notte, che moltiplicati per oltre due mesi fa circa 80 mila euro, cui naturalmente va aggiunto il vitto. A questo punto si impongono delle domande, prima fra tutte chi paghi la spesa. C'è bisogno di spendere un cifra simile, che immaginiamo a carico del bilancio pubblico, per qualche weekend del presidente della Camera? All'incarico di vigilare sull'incolumità della terza carica dello Stato devono proprio provvedere agenti inviati dalla Capitale e non personale locale che dunque, una volta svolto il compito, può tornarsene alla propria abitazione? Ma, soprattutto, sono proprio necessarie nove persone, non ne basterebbero tre, quattro?  O, in alternativa, non si potrebbe rispedirne qualcuna a casa durante la notte dato che Roma dista un paio d'ore dalla località turistica tirrenica? Sono domande che rivolgiamo non solo a Gianfranco Fini, che non risponderà così come non risponde alle richieste di tener fede alla promessa di togliere il disturbo, ma anche al presidente del Consiglio e agli incaricati della spending review:  prima di dare un taglio ai posti letto negli ospedali e alle risorse per la salute, come per esempio si sta facendo nel Lazio, non potreste dare un taglio alle spese della Casta e di uno dei suoi più autorevoli rappresentanti?   di Maurizio Belpietro    

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