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Per corteggiare i grillini Bersani farà fallire i saggi

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Il leader democratico non vuole l'intesa con il Pdl e mira a spaccare l'M5S al Senato Per questo la commissione nominata da Napolitano gli serve solo per prender tempo

Andrea Tempestini
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  di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet Diversi lettori ci chiedono di spiegare l'utilità della commissione di saggi voluta da Giorgio Napolitano e, soprattutto, se a differenza delle molte altre che l'hanno preceduta questa sarà in grado di produrre qualcosa di buono per il paese. Dal tono dei quesiti ci pare di capire che ai fedeli aquirenti di Libero interessino poco i profili di costituzionalità di cui si è discusso in questi giorni, se così facendo il capo dello stato abbia travalicato le funzioni che gli sono assegnate, o se si sia passati dalla seconda repubblica a quella presidenziale, dove tutti i poteri sono riposti nelle mani dell'inquilino del Quirinale. Ciò che preme loro è sapere se tutto ciò servirà a qualcosa, se cioè alla fine i partiti coinvolti si metteranno d'accordo, rendendo meno infiammabile la situazione del paese.  Rispondere non è facile, perché per predire quanto accadrà bisognerebbe disporre di una palla di vetro, ammesso e non concesso che questa basti a far intravedere il futuro. Usando però il metro dell'esperienza e conoscendo molti dei protagonisti cui tocca prendere le decisioni, non possiamo nutrire molte speranze, né sull'utilità della commissione né sulla capacità dei cosiddetti saggi di farci uscire dal vicolo cieco cui la testardaggine di Pierluigi Bersani ci ha cacciati. Ben inteso:  la colpa non è dei dieci super esperti voluti da Napolitano, i quali immagino ci metteranno tutto l'impegno necessario per riuscire a sfornare una qualche riforma. Ma il problema sta nel manico, cioè nell'atteggiamento del Partito democratico e del suo segretario. Da quando Bersani ha perso elezioni che sembravano vinte, la sue scelte sono state tutte orientate non all'accordo ma alla rottura. E non ci riferiamo solo all'atteggiamento nei confronti del Popolo della libertà, ma anche a quello verso il Movimento Cinque Stelle. Il capo del Pd ha infatti solo apparentemente cercato l'intesa con Grillo, eleggendo Piero Grasso al Senato e Laura Boldrini alla Camera, ma in realtà ciò a cui mirava era la spaccatura dello schieramento pentastellato. Quando il compagno segretario ha declinato un programma di governo grillino, in realtà lo ha fatto solo per avere uno specchietto per le allodole a cinque stelle. Bersani sapeva bene che l'M5S non gli avrebbe votato la fiducia, ma in cuor suo confidava di riuscire a convincere un gruppetto di cittadini a passare da Grillo a lui. E questo è quanto ha confidato al capo dello stato giovedì scorso, quando è salito al Colle chiedendo al presidente della Repubblica di rimandarlo alle Camere per chiedere la fiducia. In pratica, Bersani non aveva i numeri ma era pronto a rubarli. E' con questo spirito che il leader della sinistra nonché esploratore alla ricerca di una maggioranza di governo ha condotto la trattativa. Egli sapeva bene di non poter concludere un accordo con Grillo ed era consapevole di non voler stringere alcun patto con Berlusconi. E' per questa ragione che ha preso tempo, consultando ogni tipo d'associazione. Mentre lui intratteneva i vertici del Club alpino e quelli del Touring con amabili chiacchiere, qualcuno dei suoi lavorava ai fianchi gli onorevoli di fresca nomina, cercando di convincerli al tradimento. Qualche segnale di apertura deve averlo avuto, ma al compagno segretario è mancato il tempo. Ne avesse avuto altro a disposizione, forse sarebbe riuscito nel suo intento, ma una settimana di esplorazione è sembrata a tutti sufficiente per tirare le conclusioni.  Se questo è lo spirito che ha guidato le consultazioni, è assai difficile che il richiamo all'ordine del capo dello stato abbia indotto un cambio di strategia. Anzi, è probabile che Bersani abbia guardato alla costituzione di una commissione di saggi come a un modo per recuperare altro tempo, quello che gli manca per continuare a tessere la tela utile ad un cambio di casacca dei cittadini. Nonostante il capo dello stato abbia nominato esperti provenienti dall'area dei partiti della ex maggioranza, quella per intenderci che ha sostenuto Mario Monti, il numero uno del Pd continua a guardare al Movmento Cinque Stelle, cioè allo schieramento che gli pare più facilmente aggredibile. E' sui senatori di Grillo che Bersani tenterà di lanciare l'Opa, non certo su quelli del Cavaliere. Date le premesse, è dunque difficile che la commissione voluta da Napolitano possa concludere qualcosa di positivo. Anche se fosse, al segretario del Partito Democratico non andrebbe bene. Qualcuno a questo punto potrebbe pensare a un accanimento terapeutico del leader della sinistra, il quale non si rassegnerebbe al fallimento. Ma Bersani sta giocando la partita della vita e fino all'ultimo non passerà la mano. Soprattutto fino a che il capo dello stato non scioglierà l'equivoco: il segretario del Pd è ancora incaricato di formare il nuovo governo oppure no? Giovedì, uscendo dal Quirinale, Bersani è apparso congelato ma non liquidato. Oggi che cos'è? Può ancora tornare in gioco una volta che la commissione di saggi avrà esaurito il suo compito? E il lavoro dei cosiddetti esperti a cosa servirà, a gettare le basi di un nuovo governo, o a lasciar decantare la situazione in vista di tempi migliori? Come si vede, la questione tempo è determinante, anche perché tra quindici giorni un'intesa di massima si dovrà raggiungere almeno su un punto, quello che riguarda il prossimo presidente della Repubblica. Insomma, perché i saggi servano a qualcosa, ci sono troppe ombre sul loro cammino. E, soprattutto, troppe trappole.  

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