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Allarme rosso, Matteo è già un po' comunista

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È stato lesto a salire al potere, ora gli servono idee. Ma se pensa ad altri balzelli parte male

Ignazio Stagno
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A qualche lettore non garba che io punzecchi Matteo Renzi su nomine e programma. Romano Tozzi ad esempio mi invita ad andarci piano e a non perdere l'obiettività che un giornalista dovrebbe sempre mantenere quando giudica fatti e persone. «Renzi è ambizioso? Pure lei lo è e lo sono anche'io, ma non per questo dobbiamo essere giudicati dei Ducetti». «Sospenda dunque momentaneamente il suo giudizio», mi esorta, «e dica di Renzi bene o male in funzione di quello che farà, ma gli lasci almeno il tempo di fare qualcosa».  La lettera naturalmente è più lunga, ma le frasi riportate bastano a descrivere lo stato d'animo di qualche nostro lettore. Letta la mail, ho pensato di essere stato frainteso e dunque eccomi  qui a cercare di spiegare ciò che evidentemente non sono riuscito a dire in modo sufficientemente chiaro. Premessa:  ho conosciuto  Matteo Renzi nell'ottobre del 2009, quando il giovanotto aveva appena espugnato la cittadella rossa.  Il sindaco  muoveva allora i primi passi   da rottamatore, perché già si era distinto nella polemica contro i burocrati del suo partito.  Quella sera – dovevamo presentare  in una libreria del capoluogo toscano un libro sulla tv  e dintorni – il futuro segretario del Pd mi parve da subito un tipo sveglio, ma a differenza di certi suoi colleghi anche svelto e diretto, esattamente come poi si è rivelato. Qualche mese dopo mi è capitato di incrociarlo di nuovo in uno studio televisivo e lì, a telecamere accese, gli pronosticai un futuro da leader nazionale, ma Renzi si schermì, giurando e spergiurando che non aveva alcuna intenzione di diventarlo perché stava bene dove era. Già allora, insomma, aveva l'abitudine di mentire.  Ciò detto e depurata la sua immagine da questa tendenza a dire il contrario di quel che vuole fare, devo confessare che a me il segretario del Pd e futuro presidente del Consiglio sta simpatico. Al punto che fosse dipeso da me lo avrei arruolato in fretta nel centrodestra. Forse qualche lettore lo ricorderà, ma nel 2012, prima che il rottamatore perdesse contro Bersani, in un editoriale suggerii a Berlusconi di offrirgli il posto di candidato premier del Pdl.  Dato che il Cavaliere cercava qualcuno con il quid,  a me pareva che Renzi di quid ne avesse da vendere.  Le cose poi sono andate come si sa. Berlusconi è tornato e, messo da parte l'erede designato Angelino Alfano, è risorto nelle urne strappando al Pd una vittoria che Bersani già si sentiva in tasca. Grazie alla sconfitta della sinistra, oltre al Cavaliere è risorto pure il sindaco di Firenze, il quale si vedeva costretto al secondo mandato alla guida della città toscana. Sarà per questo che Berlusconi e il rottamatore si stimano molto, anzi si guardano con reciproca simpatia? Può essere, i due in fondo hanno molto in comune. Tutto ciò per dire che non ho nulla di personale contro il prossimo premier  e che anzi mi auguro possa fare bene. Certo, la partenza non è stata delle migliori, sia per il disarcionamento in corsa del governo Letta, sia per le difficoltà registrate. Ciò nonostante, sia la prima che le seconde potrebbero essere dimenticate. In fondo l'esecutivo mandato a casa non era dei più popolari e tre quarti degli italiani non vedevano l'ora di liberarsene, mentre gli intoppi prima del giuramento sono la regola.  Anche questo ( i modi spicci e una certa furberia) dunque non mi allarma e nonostante Renzi sia arrivato a Palazzo Chigi senza passare dal via, cioè dal voto, sono pronto a perdonargli la disinvoltura, ma a patto che faccia ciò che annuncia e cioè rivolti l'Italia come un calzino. Ed è proprio qui il punto. Riconosciuto che è svelto e furbo come una volpe, non posso però nascondere che per conquistare il partito da moderato che era è passato a sinistra. Dalle pensioni a certe inclinazioni giustizialiste, dalla tassazione delle rendite alla promessa di un sussidio per tutti, dai tagli della bolletta elettrica ai trasferimenti in bicicletta, Renzi sembra aver assimilato il peggio dei compagni, tutti sogni e niente sostanza.  Parecchie volte, nei dibattiti tv o su Libero gli ho chiesto di spiegare come intenda finanziare le sue riforme, dove trovi le risorse e come intenda far funzionare la macchina dello Stato.  Ma invece di risposte dettagliate ho ricevuto sempre discorsi volutamente vaghi.  Una prova: il famoso JobsAct, cioè il piano per il lavoro. Il rottamatore ne ha fatto un cavallo di battaglia della sua segreteria. Appena giunto al vertice è partito in quarta su legge elettorale e misure per rilanciare l'occupazione. La prima per ora è ferma ai box in attesa di una revisione.  La seconda è un foglietto di una paginetta e mezza di acqua fresca. Buone idee, propositi ancor migliori, ma dettagli e cose pratiche nulla . Taglio dell'Irap ma nessuna cifra certa che lo finanzi. Riduzione dell'Irpef ma zero indicazioni su dove si trovino i soldi necessari a compiere il gran passo. Giù il cuneo fiscale, ma anche lì senza dire una parola sulle risorse.  Insomma, un bel sogno. Proprio come Renzi, finora è una favola, una specie di principe azzurro che promette di svegliare la bella addormentata. Domani, forse sarà una realtà. O, forse, uno scherzo.   Ps. L'unica notizia certa è che Renzi vuole alzare di due punti le tasse sui redditi oltre 120 mila euro lordi, che così invece del 43 pagherebbero un'Irpef del 45 per cento. La misura non servirebbe a racimolare molti soldi , ma a impoverire un po' di italiani sì. Un vero esordio da leader della sinistra. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

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