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Cesare Battisti, la polizia: "Indagine sulla rete che lo ha coperto", ecco chi rischia grosso

Davide Locano
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Il cerchio attorno al terrorista Cesare Battisti si è stretto, poco alla volta: una manovra conclusa ieri pomeriggio, con la cattura del terrorista in Bolivia, a Santa Cruz. Un lavoro maniacale, quello della polizia, che è arrivata a rintracciare e catturare il terrorista, ora destinato alle patrie galere. Una latitanza durata la bellezza di 37 anni e terminata grazie al monitoraggio di telefonate ed email che partivano e arrivavano all'uomo condannato a due ergastoli. Fonti della polizia milanese, interpellate dall'AdnKronos, spiegano: "A incastralo diciamo che sono state le indagini tecniche. D'altra parte, Battisti non lo abbiamo mai mollato. Lo teniamo sotto controllo da sempre, lui e il suo entourage". Leggi anche: Cesare Battisti, tutta la storia di un assassino Dunque ha parlato Lamberto Giannini, direttore centrale della Polizia di prevenzione: "È stata una indagine complessa, hanno collaborato moltissimo la Polizia boliviana che ha dato un contributo fondamentale, l'Interpol, la Polizia di prevenzione e la Digos di Milano". Dunque, una bomba: "Ci sono degli accertamenti ancora in corso sulla rete di protezione di cui ha goduto. Sui dettagli non posso al momento dilungarmi, ma da diverso tempo il personale era lì, prima in Brasile e poi in Bolivia, ha fatto anche delle attività congiunte. Anche l'Aise ha contribuito alle operazioni della cattura". Insomma, il caso non sarebbe chiuso con l'arresto di Battisti: nel mirino, ora, ci finisce la sua misteriosa rete di protezione. Rete efficace, se si pensa che è stato in fuga per quasi quarant'anni. E ancora, Giannini ha aggiunto: "Fare la latitanza implica degli spostamenti e dei contatti la presenza assidua sul territorio ed il monitoraggio di certi luoghi ci ha consentito l'individuazione. Era assolutamente necessario avere la certezza che fosse lui perché un allarme avrebbe rischiato di rendere vana la nostra attività”. Infine, altre fonti della polizia citate sempre dall'AdnKronos, spiegano come la rete internazionale che lo ha coperto per decenni, alla fine, si è trasformata in una sorta di boomerang. L'entourage del latitante non era composto da ex terroristi, bensì da "personaggi della sua area politica di riferimento e da altri soggetti con cui è entrato e rimasto in relazione negli anni della latitanza".

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