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Curdi nel mirino, tutto pronto per la 'ridicola' guerra di Erdogan

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Siria

AdnKronos
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Ankara, 7 ott. (AdnKronos/Aki) - Sembra ormai imminente l'inizio della più volte annunciata offensiva turca nel nord della Siria per creare una 'zona sicura' libera dalla presenza delle forze curde. "Possiamo entrare (in Siria, ndr) una notte qualsiasi, senza preavviso", ha intimato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. La mossa, inattesa almeno nei tempi, degli Stati Uniti di ritirare le truppe dall'area di confine era il segnale che Ankara attendeva per sferrare l'attacco contro quelle milizie che Washington e non solo hanno sostenuto e armato e che sono state le protagoniste della sconfitta militare dell'Isis in Siria. Le Nazioni Unite si "preparano al peggio", ha fatto sapere il coordinatore umanitario dell'Onu, Panos Moumtzis. La Turchia, che da mesi prepara l'offensiva e che può contare sull'appoggio di gruppi ribelli siriani come l'Esl, vuole a tutti i costi lanciare un'offensiva, sulla falsariga delle operazioni Scudo dell'Eufrate e Ramoscello d'Ulivo, per una ragione: considera il braccio siriano del Pkk e quindi un'organizzazione terroristica le Unità di protezione del popolo (Ypg), i cui miliziani dominano l'alleanza curdo-araba delle Forze democratiche siriane (Fds). Nonostante la minaccia posta dall'Isis e i numerosi attentati compiuti in territorio turco, Ankara ha sempre condannato il sostegno statunitense alle Ypg. La Turchia vuole creare una sorta di 'cuscinetto' per evitare di trovarsi le Ypg al di là del confine. Un 'cuscinetto' profondo oltre 30 chilometri, al cui interno costruire 140 villaggi - ognuno dei quali in grado di ospitare da 5mila a 30mila abitanti - suddivisi in 10 distretti e dotati di scuole, moschee e fabbriche. Tutto da realizzare ex novo. Questa è la 'zona sicura' immaginata da Erdogan. Un piano, svelato di recente dalla stampa turca, che costerà 26,4 miliardi di dollari. Qui il Sultano vuole ricollocare almeno due milioni di rifugiati siriani che attualmente vivono in Turchia. Le Fds hanno replicato all'annuncio della Casa Bianca sostenendo che un "attacco turco" rischierebbe di fare della Siria una "zona di conflitto permanente". In un messaggio all'Occidente, l'alleanza ha messo in guardia dal rischio che possa avere "ripercussioni molto negative sulla guerra all'Isis e distruggere tutto quello che è stato raggiunto per la stabilizzazione della zona negli ultimi tre anni". L'escalation turca contra le forze curde in Siria ha inizio nel 2018, quando venne attaccata Afrin, nell'ovest del Paese arabo: decine di civili furono uccisi e decine di migliaia lasciarono le loro case a causa dei combattimenti. A dicembre dello stesso anno, con l'Isis vicino alla sconfitta, il presidente Donald Trump annunciò l'inizio del ritiro delle truppe dalla Siria. Quando i comandanti sul campo e gli alleati gli espressero tutti i loro dubbi sulle sorti dei curdi, il capo della Casa Bianca minacciò di "devastare la Turchia economicamente" se Ankara li avesse attaccati proponendo di creare una "zona sicura" lungo il confine. Minaccia ribadita oggi in un tweet. Allora Trump non diede seguito al ritiro, ma Erdogan continuò il suo pressing. Lo scorso 7 agosto funzionari militari turchi e statunitensi trovarono l'accordo sulla 'zona sicura'. La svolta quando in Italia era mattina. Dopo una telefonata tra Trump ed Erdogan, la Casa Bianca ha reso noto che la Turchia "lancerà presto un'operazione militare nel nord-est della Siria da tempo programmata" e che le truppe americane non saranno più "nell'area circostante" quando questo accadrà. "E' assolutamente fuori questione per noi tollerare ancora le minacce che arrivano da questi gruppi terroristici", ha tuonato Erdogan, garantendo allo stesso tempo ai suoi interlocutori in Occidente che l'Isis "non tornerà". Stavolta sembra difficile immaginare un nuovo passo indietro del presidente Usa. "E' tempo di tirarci fuori da queste ridicole guerre senza fine, la maggior parte delle quali tribali, e riportare i nostri soldati a casa", ha dichiarato il leader repubblicano. Per le Fds la decisione degli Stati Uniti è stata "una pugnalata alle spalle".

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