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Aereo caduto sul Sinai. Putin, Egitto, isis: ecco perché mentono

di Eliana Giusto domenica 1 novembre 2015

4' di lettura

Una sola cosa è sicura: non sapremo mai perché l'aereo della compagnia russa MetroJet è caduto sul Sinai. La ragione è evidente: sia il governo russo, che quello egiziano hanno infatti tutto l' interesse a coprire la verità. Specularmente, l' Isis ha tutto l' interesse ad attribuirsi la responsabilità del disastro con un semplice comunicato e un confuso video, senza fornire alcuna prova. La verità ufficiale - lo si può scommettere - sarà quella che premurosamente - con fretta più che sospetta - ha già avanzato il governo egiziano: «Un guasto tecnico, nessun atto di terrorismo». Naturalmente, tutto può essere, ma è ben strano che un aereo esploda in volo, poco dopo che il pilota ha comunicato di dover tentare un atterraggio di emergenza nel vicino aeroporto egiziano di Al Arish. Né pare attendibile che la causa dell' incidente sia quel motore che già nei voli precedenti aveva dato noie. I jet dispongono di due motori e anche con un motore solo, planando, è più che possibile coprire la piccola distanza tra il luogo del disastro e l' aeroporto di Al Arish e tentare un atterraggio di fortuna. Manovra difficile, ma più che praticabile, che semmai presenta incognite che avrebbero portato a una fine disastrosa solo in fase di atterraggio. Invece, l' esplosione è avvenuta in quota, pochi istanti dopo la comunicazione del pilota, quando l' aereo è misteriosamente «scomparso dai radar» in volo, così almeno le notizie ufficiose sinora raccolte. Certo, è possibile che si sia trattato di un cedimento strutturale della carlinga, ma è evento rarissimo ormai. D' altronde, la versione dell' Isis più che scomoda - addirittura intollerabile - per i governi egiziano e russo, per cui l' aereo sarebbe esploso o a causa di una bomba a bordo, o a causa di un missile terra-aria, per essere suffragata ha bisogno di prove che l' Isis si è ben guardata dal fornire nel suo video in cui si è limitato a dichiarare: «Voi ci uccidete, noi vi uccidiamo». L' esame della scatola nera e dei frammenti dell' aereo, oltre che dei corpi delle povere vittime, potrebbe escludere o confermare un evento esplosivo. Ma è più che certo che, se lo confermassero, le prove verrebbero manipolate. Innanzitutto dall' Egitto che è ben cosciente degli effetti disastrosi di questa tragedia sulla già sofferente industria turistica nel Sinai. Le presenze turistiche a Sharm e negli altri resort sono crollate dal 2011 in poi del 30-40%, con un danno enorme per un Paese che ha proprio nel turismo, con i diritti di navigazione nel Canale di Suez, la principale fonte di entrate. Negli ultimi mesi, grazie alla stretta repressiva dell' energico presidente al Sisi, il flusso turistico iniziava a riprendere. Ma ora, se i turisti dovessero temere persino di volare verso Sharm...  Ma non c' è solo questo. Se la versione dell' Isis fosse confermata, si avrebbe un' evidenza planetaria di un fatto che il governo egiziano intende occultare: nonostante il suo enorme esercito, al Sisi non riesce a contrastare - anzi - il radicamento e le continue azioni militari nel Sinai di Ansar bet al Maqdis, gruppo jihadista collegato all' Isis. Pure, la zona di azione degli jihadisti è piccola, poche centinaia di chilometri nel nord del Sinai, attorno a Refah, al confine con Gaza, e a al Arish. Ma in questa non estesa zona, anche grazie all' appoggio delle tribù beduine che sono sempre state trattate come paria dai governi del Cairo, Ansar bei al Maqdis la fa da padrone, infliggendo pesantissime e poco onorevoli sconfitte all' esercito egiziano. Lo scorso 15 luglio, con un' azione spettacolare, ha attaccato contemporaneamente cinque check points egiziani, uccidendo ben 72 soldati in una battaglia durata alcune ore. Ma anche il governo russo non ha alcun interesse ad accreditare l' ipotesi di un attentato e opterà in ogni caso per un incidente tecnico. È infatti palese che se di attentato di trattasse, le 224 vittime civili sarebbero il primo prezzo che la Russia paga per la decisione di Putin di entrare boots on the ground nella guerra civile siriana e di bombardare -poco- anche l' Isis. Questo, in un paese in cui la disastrosa spedizione in Afghanistan è stata causa non ultima dell' implosione della stessa URSS. Con una economia fiaccata dalle sanzioni, Putin non può permettersi di pagare alti costi in vite umane per una guerra lontana, che non coinvolge minimamente il pur forte nazionalismo russo, che per lo meno batteva all' unisono per il Donbass. Men che meno può permettersi di ammettere che il costo della sua avventura siriana sono degli attentati contro civili russi. di Carlo Panella

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