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Margherita Boniver, il vero piano di Putin: "Vuole la Bielo-Ucraina". Un cuscinetto per rovinare l'Europa?

Giovanni Terzi
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«Putin ha scatenato una guerra all'Ucraina senza precedenti, mostruosa e immotivata. Certo, il presidente russo non è nuovo a questo tipo di aggressione, sin dal conflitto ordinato da Eltsin nell'agosto del 1999 in un'altra regione separatista, la Cecenia. In quell'occasione Putin era già ministro e pochi mesi dopo, il 31 dicembre 1999, divenne presidente». Chi parla è Margherita Boniver, politica italiana, oggi presidente della Fondazione Bettino Craxi, già ministra dell'Immigrazione e degli Italiani all'estero nel 1991 con presidente del Consiglio Giulio Andreotti, eletta in parlamento, Senato Camera ed Europarlamento, nelle file prima del Psi e poi di Forza Italia.

 

 

 

Onorevole, lei mi sta dicendo che questo desiderio di ricostruire la vecchia Unione Sovietica è sempre stato un progetto putiniano?
«Sì. Ricordiamo le operazioni contro la guerriglia cecena fino al 2009. La capitale cecena Grozny (che in russo significa "la terribile", nome imposto dagli zar dopo una guerra dei secoli precedenti) fu quasi completamente rasa al suolo dai bombardamenti russi: un modello per quello che Putin ha fatto in seguito ad Aleppo, in Siria, e per quanto sta facendo in Ucraina. Usando la forza senza limiti, e corrompendo addirittura alcuni capi ceceni per portarli dalla propria parte. Putin è riuscito a vincere un conflitto che sembrava irrisolvibile. È importante ricordare che la seconda guerra cecena violò gli accordi firmati dopo la prima guerra, e venne innescata da attentati a Mosca che fecero centinaia di morti. Ma anche in quel caso molti osservatori, tra cui il difensore dei diritti umani Sergej Kovalev e l'ex-agente del Kgb Aleksandr Litvinenko, sostennero che fu l'Fsb, il servizio segreto russo erede del Kgb sovietico e del quale Putin aveva fatto parte per 16 anni, a mettere le bombe in edifici di civili. Tutto questo per accusare poi i "terroristi ceceni", e suscitare quell'indignazione nella popolazione russa ed avere una scusa per ricominciare una guerra con metodi più duri di prima. Si calcola che ci furono nella seconda guerra cecena tra i 50mila e gli 80mila morti».

Un progetto che parte da lontano quindi, quello di Putin?
«Ricordiamo la Georgia nel 2008. Le somiglianze sono impressionanti. Un governo filo-occidentale, eletto democraticamente a Tbilisi al posto di uno filo-russo, aveva chiesto di entrare nella Nato per proteggersi dalla minaccia di Mosca. Putin reagì invadendo due regioni autonome georgiane, l'Abkhazia e l'Ossezia del Sud, dove un conflitto a intermittenza era in corso fin dai tempi dell'Urss, ufficialmente giustificando l'intervento con la necessità di proteggere la popolazione delle due regioni, a maggioranza russa, da discriminazioni del governo georgiano. Anche oggila narrazione di Putin, quella di liberare l'Ucraina dalla nazistificazione, è del tutto ingiustificata e quindi maggiormente criminale».

Mi sembra di capire che lei stia con l'Ucraina?
«Senza alcun dubbio. Sto con il popolo che è stato aggredito e che, stoicamente, sta resistendo agli attacchi furiosi, rappresentato da un presidente, Zelesky, che sta dimostrando sul campo il suo valore umano, politico e militare. Il tema affrontato da Putin del pericolo dell'entrata della Ucraina nella Nato e assolutamente privo di valore».

Perché?
«Perché tutti sapevano che l'Ucraina non sarebbe mai entrata nel Patto Atlantico e che in realtà il desiderio del presidente russo era quello di costruire una Bielo-Ucraina con uno sbocco strategicamente importante sul Mar Nero».

Lei ritiene che ci sia il pericolo di una guerra mondiale con utilizzo, da parte di Putin, della atomica?
«Purtroppo sì. Non vedo alcun negoziato, in questo momento, capace di portare a una tregua. Non ne percepisco una volontà profonda e temo che sarà un conflitto lungo e sanguinoso. Ricordiamoci che Putin è riuscito in un cambio di Costituzione che gli consente di rimanere al potere fino al 2032. Trentadue annidi potere assoluto: come Xi Jinping, già al comando della Cina dal 2012 e oggi presidente a vita».

La guerra in questo momento non sta dando a Putin i risultati sperati, come mai?
«Ha sottovalutato la compattezza europea e l'eroicità del popolo ucraino e del suo presidente».

Come mai questa sottovalutazione?
«Perché dopo il ritiro di Biden e dell'America dall'Afghanistan, pensava che il mondo occidentale fosse molto più fragile».

Ha accennato a Biden. Un presidente che non sta avendo molto consenso né interno né all'estero. Ben diverso da quell'America che Craxi sfido nella notte di Sigonella...
«Era l'ottobre del 1985 e ci fu una vera e propria sfida tra Vam (la Vigilanza Armata Militare), Carabinieri Italiani e Delta Force che poteva provocare una profonda crisi diplomatica. Bettino non volle piegarsi all'arroganza americana, che voleva sequestrare l'Achille Lauro presa in ostaggio dai palestinesi ed in seguito estradare i terroristi medio orientali, e circondò, a Sigonella, gli uomini della Delta Force americana. Quell'evento lo seguii molto bene perché ero la responsabile, per il Partito Socialista, del dipartimento Esteri».

Come andò a finire?
«Formalmente con due lettere tra Craxi e Reagan che iniziavano entrambe con un "Dear Bettino" da parte del presidente americano e "Dear Ron" da parte del leader italiano. In realtà molti storici e analisti politici definirono quel momento come la rottura di un patto Italia-Usa che portò poi alla fine della Prima Repubblica e a Tangentopoli».

A proposito: secondo lei anche oggi, per non far cadere il governo, si deve per forza essere filo-americani?
«Porrei la domanda in modo diverso: non tanto filo americani ma filo-atlantici. Parliamoci chiaro, l'Italia non ha una politica estera riconoscibile, a parte l'appartenenza alla Nato e alla Unione Europea, e a me sembra che non ci siamo state in questi anni particolari giravolte da parte di alcun governo. Unico momento fu nel 2013, quando alle elezioni politiche il Movimento 5 Stelle prese una valanga di voti. Solo in quel caso il Movimento di Beppe Grillo iniziò a indicare alleanze improponibili come quella con il Venezuela di Maduro, oltre al fatto che l'allora l'onorevole Manlio Di Stefano, oggi sottosegretario agli Esteri, fece una proposta per uscire dalla Nato. In ultimo, la proposta di alleanza con la Cina di Xi Jinping».

 

 

 

E del ministro Di Maio cosa pensa?
«Ad oggi Di Maio, supportato da formidabile macchina della Fornesina, ha approcciato a una linea politica secondo me molto corretta. Adesso non ci resta che sperare che tutto questo non venga messo in dubbio dal prossimo voto politico nel 2023».

Teme qualcosa?
«Non più di tanto, finché c'è un garante solido come il presidente Sergio Mattarella, che ha sempre avuto un occhio attento alla politica estera».

Quindi nulla di diverso da quando c'era Bettino Craxi ?
«In realtà oggi manca quella visione di politica mediterranea che esisteva con Craxi e Andreotti. Ma poi arrivò Tangentopoli...».

Già, Tangentopoli: come visse quel momento?

«È stata una esecuzione giudiziaria di una classe dirigente politica e soprattutto di un partito, quello socialista. Che ci fossero i finanziamenti illeciti ai partiti si sapeva e riguardava tutti, da sinistra a destra. Si decise di colpire una forza politica soprattutto, quella socialista».

Non ci fu modo di trovare qualcuno che prendesse in mano i socialisti dopo Craxi?

«Innanzitutto era impossibile trovare nell'immediatezza un leader. La leadership e il carisma di Bettino erano ineguagliabili. Inoltre si deve ricordare che dall'inizio di Tangentopoli qualsiasi personalità, anche locale, che si affacciava alla ribalta, veniva immediatamente indagata».

Lei è sempre stata molto legata a Craxi.

«Lo spartiacque è stato proprio il mio incontro con Bettino Craxi. Tutto è cominciato come un'amicizia, un legame tra le nostre famiglie. Passavamo le vacanze insieme, e Bettino con sua moglie sono stati i primi a venirmi a trovare in ospedale quando è nata mia figlia Caterina. Poi Craxi mi chiese di occuparmi di Amnesty international, di capire, visto che parlavo bene l'inglese, cosa fosse quell'organizzazione. Da lì è cominciato tutto».

Il Psi ebbe poi due segretari.

«Due sindacalisti, Benvenuto e Del Turco, che peraltro ordinò una fatwa per i Craxiani, ma era impensabile che si ricostruisse qualcosa. Peraltro Craxi, quando era ad Hammameth, non fu mai interrogato da alcun pubblico ministero».

Lei è stata la prima ministra all'Immigrazione nel governo Andreotti-Craxi: è possibile, secondo lei, immaginare un'unica politica sull'immigrazione oggi?

«No, è impossibile anche che ci sia una unica risposta sull'immigrazione di massa, che rappresenta sempre un affaticamento economico e sanitario per il nostro Paese. Da qui la necessità di una pluralità di azioni differenti. Un monito però lo voglio lanciare alla politica: non si può illudere chi vota che ci possa essere una soluzione definitiva su questo tema così complesso». 

 

 

 

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