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Borsch, l'Ucraina vince la guerra della zuppa: russi a pancia vuota

Daniele Dell'Orco
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La battaglia per l'affermazione dell'identità dell'Ucraina, che Mosca non ha intenzione di riconoscere, passa anche per la tavola. La sfida in cucina l'ha vinta Kiev, con l'Unesco che ha ufficialmente riconosciuto il Borscht, nella sua ricetta originale ucraina, patrimonio culturale immateriale. Prendendo il nome da uno dei fiumi che attraversano il Donbass, ed essendo un piatto tipico sia della cucina ucraina che di quella russa, visto il momento storico sul suo riconoscimento non è affatto insignificante. Mosca, infatti, si era opposta all'eventualità con le rimostranze della portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, che ieri ha stigmatizzato la decisione dell'Unesco parlando di «nazionalismo moderno di Kiev» e ricordando che nel 1500 il Borscht era «un piatto dei residenti russi di Kiev»: «Per dare al mondo un esempio culinario dell'attuale nazionalismo di Kiev citerò un fatto: hummus e pilaf sono riconosciuti come piatti nazionali di diversi Paesi - ha scritto sui suoi canali Telegram - Ma da quello che capisco tutto è oggetto di ucrainizzazione».
La ricetta del Borscht (o Borsch, in russo) è molto semplice: si compone di barbabietole, cavolo fresco, brodo, carne di manzo e maiale, e con panna acida. Poiché la disputa sulla sua paternità risale a ben prima dell'inizio della guerra, già nel 2019 era stata avanzata presso l'Unesco la candidatura della pietanza, ma la faccenda non sarebbe dovuta essere valutata prima del 2023-2024. Il Comitato Unesco, vista la crisi, ha deciso di anticipare tutto e di procedere d'urgenza con il sostegno anche dell'Italia.
Sul profilo Twitter ufficiale del Cremlino, comunque, la Russia ha continuato a rivendicare il primato sulla minestra: «Un classico senza tempo, il Borsch è uno dei più famosi e amati piatti russi e un simbolo della cucina tradizionale». Niente convergenza nemmeno a tavola, insomma, e nemmeno di fronte al pronunciamento dell'Unesco.
Il dubbio risiede nella commistione fisiologica di influenze, fattori, mescolanze che ha caratterizzato non solo loro ma tutti i popoli slavi nel corso del secoli. La diffusione della ricetta in tutte le cucine dell'Est Europa, da quella bielorussa a quella polacca, fino a quella ebraica, offre infatti a ciascuno la possibilità di considerarlo parte della propria cultura tradizionale.
La Commissione Unesco, comunque, sostiene che Kiev abbia diritto a poterne rivendicare la paternità. Come spesso accade con molte delle tradizioni dell'area russofona, tanto passa per la parentesi sovietica. Quando, sostanzialmente, le identità non esistevano più e popoli rivali o addirittura agli antipodi tra loro erano tutti posti al di sotto della falce e martello. La leggenda narra che, a fare confusione, sia stato Stalin in persona. Voglioso di bypassare le rivendicazioni nazionaliste e di creare una cultura sovietica comune per provare ad unificare le oltre cento culture ed etnie dell'Unione bolscevica, affidò al Commissario per l'alimentazione Anastas Ivanovic Mikojan, in seguito potentissimo ministro del commercio e fedele vice di Nikita Kruscev, oltre che notissimo cuoco e gourmet, il compito di creare una nuova cucina nazionale sovietica. Uno dei pilastri fondamentali su cui si sarebbe dovuta fondare era proprio il Borscht: la zuppa sovietica partita dall'Ucraina. 

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