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Vladimir Putin nel nome di Allah: orrore in Ucraina, ecco che cosa state vedendo

Giovanni Sallusti
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Non fa tendenza dirlo, ma la guerra continua. Intendiamo quella vera, sul suolo ucraino, non quella già diventata artificio per il teatrino nostrano, l'invio (men che simbolico) di armi come pretesto per lo strappo inverosimile di Conte, e amenità simili. No, da lì, dal luogo dove la guerra si fa, arriva una cartolina terribile, tra il grottesco e l'agghiacciante, che parla direttamente a noi qui, in Italia, in Europa, in Occidente. Lysychansk, ultima città conquistata dai russi nella provincia orientale del Lugansk. Ieri il ministro della difesa Sergey Shoigu ne ha proclamato la presa definitiva. Prima di lui, l'annuncio era arrivato da Ramzan Kadyrov, il leader delle milizie cecene, i tagliagole islamici al servizio di Putin, per dirla come non la direbbe il circo pseudopacifista itinerante. «Lysychansk è nostra! Le nostre unità sono già nel centro della città!», esclamava via social il macellaio di Groznyj, titolo rigorosamente conquistato sul campo. E alcuni video diffusi ieri mostravano le suddette unità scorrazzare tra gli edifici sventrati. Esultano, si fanno selfie, improvvisano celebrazioni davanti a luoghi simbolici, come (quel che resta de) il municipio.

 

 


Tra le varie grida ripetute, in un video ripreso anche dal sito di Repubblica si sente nitidamente la famigerata: «Allah Akbar!». Sì, urlano «Allah è grande!», gli sgherri del macellaio, e del resto non è una notizia. Lo hanno fatto all'inizio dell'invasione nei pressi di Kiev, lo hanno fatto poi a Mariupol, lo fanno ovunque vadano ad espletare il compito assegnato loro dallo Zar: aprire la strada all'Armata Rossa nel combattimento casa per casa in cui sono maestri, l'arte dello sgozzamento urbano al servizio dell'imperialismo putiniano. La notizia piuttosto riguarda noi, sta in un effetto straniante, in una reazione mancata: intere città europee oggi cadono in mano a massacratori di civili che levano il grido per eccellenza della jihad, e noi non facciamo un plissé, lo archiviamo a corollario, quel che conta è contestualizzare, capire le ragioni dell'invasore che li muove, riepilogare le colpe della Nato.

 

 


A proposito di Alleanza Atlantica: i suoi numerosi detrattori si saranno commossi ieri, a vedere rimbalzare sui social la foto di alcuni soldati che, sul tetto del palazzo comunale devastato di Lysychansk, issavano la bandiera rossa con falce e martello. Sotto, nello scatto capolavoro di propaganda, in mezzo alla polvere e ai detriti, il vessillo gialloblu dell'Ucraina. L'Orso sovietico che schiaccia (di nuovo) l'indipendenza, l'autodeterminazione dei popoli e delle nazioni. Né valga a edulcorare la portata della scena la precisazione di alcuni, secondo cui le scritte che si intravedono sono quelle della cosiddetta la Bandiera della Vittoria, la versione "modificata" per celebrare la vittoria sovietica sul Reich. Farsi andar bene questa postilla significa infatti accettare l'equazione tra ucraini a e nazisti, ovvero l'essenza della mistificazione russa. E, soprattutto, non cogliere l'enormità di fondo: più di trent' anni dopo la dissoluzione dell'Urss, la falce e il martello tornano a spargere orrore e morte in una delle ex Repubbliche. Bandiere rosse e Allah, un miscuglio surreale, controintuivo se pensiamo ad esempio alla guerra che il gigante comunista condusse in Afghanistan, eppure saldato oggi in un minimo comun denominatore: l'odio per l'Occidente, per la libertà individuale e collettiva, l'odio per il nostro mondo. Volenti o nolenti, questa cartolina doppiamente totalitaria da Lysychansk ci riguarda, molto più di quel che accade oggi a Roma. 

 

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