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Kosovo, riflessioni di un giornalista al di qua del ponte di Mitrovica 

Marco Petrelli
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"ExYu Radio" si intravede su un vecchio schermo collegato agli amplificatori. Siamo in un bar di Mitrovica, città di 130 mila abitanti nel nord del Kosovo. Qui sopravvivono due culture: quella degli 80mila cittadini di etnia albanese e quella dei 50mila di origine serba, separati da un ponte sul fiume Ibar ironicamente chiamato "ponte di Austerlitz", data la sua somiglianza all'omonimo parigino.Un tempo chiuso ad ogni accesso, oggi il ponte permette il libero transito dei pedoni (ma solo dei pedoni) sotto l'occhio vigile della Kosovo Police e dei Carabinieri del MSU.

"I miei ragazzi vedono giovani di ambo le parti incontrarsi e frequentarsi" ammette, con soddisfazione, il comandante del Reggimento MSU dei Carabinieri colonnello Maurizio Mele. E se i militari italiani sono garanzia di serenità e di tranquillità da questo e dal quel lato del ponte, le generazioni nate dopo la guerra rappresentano un incentivo importante alla ricostruzione di un tessuto sociale ancora oggi lacerato.

Sì, la guerra è finita da 23 anni, il Kosovo è stato sovrano dal 2008, ma due decenni sono pochi per ricucire strappi vecchi di secoli. Un'avversione, quella fra serbi ed albanesi, che sopravvive dai tempi della Battaglia di Kosovo Polje, del 28 giugno 1389. Evento talmente radicato nella cultura balcanica (specie serba) che lo stesso Slobodan Milosevic volle ricordarlo nel celebre discorso di Gazimestan del 28 giugno ’89, triste presagio di ciò che di lì a breve sarebbe accaduto… 

Separando la realtà dalla propaganda e da una memoria storica talvolta manipolata, la Battaglia di Kosovo assistette al tradimento di alcuni principi albanesi, non certo di un intero popolo immeritevole della “fama” di traditore. Come in occidente, d’altronde, gli equilibri delle alleanze nell’Europa balcanica sono da sempre molto fragili. Ed i “cambi di casacca” frequenti. Ciò non tanto per motivi venali, quanto per la necessità di difendere gli interessi etnici, interessi che i singoli gruppi percepiscono come superiori alla geopolitica mondiale ed alle ideologie. 

Il periodo monarchico prima e seguente la guerra mondiale poi, sono oggi ricordati in modo diverso. Per alcune nazioni del Regno di Yugoslavia e della Repubblica Socialista Federale di Yugoslavia come periodi florido; per altri, come l’oppressione del proprio gruppo etnico da un potere serbo-centrico, a prescindere dalla natura monarchica o socialista. Addirittura Milosevic, icona dell’orgoglio serbo dopo la caduta della RSFY, accusava a posteriori il Maresciallo Tito di aver privato Belgrado della sua centralità… 

Lo scenario balcanico risulta, dunque, al 2022 fra i più complessi dello scacchiere internazionale. Certo, molte cose sono cambiate dall’ultimo conflitto combattuto in quel lontano 1999. Eppure sentimenti di rivalsa, divisioni e, soprattutto, diffidenza sopravvivono ai decenni. Non è forse un caso che la sorridente Direttrice di Radio K4You rammenti i 4 messaggi l’ora trasmessi dall’emittente, che ha sede operativa nella base NATO “Film City” di Pristina. Fondata all’indomani dell’arrivo dei contingenti internazionali in Kosovo, sulla base di quella che era stata una stazione radiofonica dell’esercito britannico, Radio K4You raccoglie in parte anche l’eredità dell’italianissima (ed apprezzatissima, al tempo) Radio West. E’ un ponte, via etere, fra le diverse culture del Kosovo rivolta, in particolare modo, a quelle generazioni nate dopo il conflitto e per loro fortuna meno permeabili a stantii e superati sciovinismi. 

Tuttavia, se da un lato è ormai piuttosto difficile trovare supporter di Milosevic (sfiduciato dal suo stesso popolo nel 2000), alla secolare diffidenza serbo-albanese si sono aggiunte e stratificate le conseguenze del conflitto: nuovi confini, minoranze separate e l’influenza degli attori, interni e limitrofi, alla giovane repubblica balcanica. La NATO (di cui fanno parte quattro ex paesi della RSFY, Montenegro, Macedonia del Nord, Slovenia e Croazia più l’Albania) e la Serbia, sempre in bilico fra ambizioni europeiste ed amicizie con la Russia

Di una cosa possiamo però essere certi: le rivendicazioni di Belgrado si giocheranno solo sul campo economico e diplomatico poiché, come appena ricordato, la Penisola balcanica è oggi un “mare NATO”. La Serbia ha quindi poca possibilità di movimento ed eventuali, remote aspirazioni di conquista si infrangerebbero di fronte al nuovo assetto geopolitico dell’area. 

Assetto che, con ogni probabilità, andrà ad influenzare anche Kosovo Force (KFOR). La Missione NATO (su mandato ONU 1244 del 1999) conta oggi circa 3500 militari da 27 nazioni comandati, per la tredicesima volta, da un italiano, il Generale di Divisione Michele Angelo Ristuccia, nominato Comandante il 9 ottobre scorso. 

Il ruolo di KFOR è certamente importante per il Kosovo, poiché garantisce sicurezza e sostegno alle autorità locali che, loro malgrado, riescono ora ad amministrare un paese quasi pacificato. Ma, al fine di rimuovere definitivamente il “quasi”, il compito della NATO in terra kosovara continuerà. Non sappiamo fino a quando, pensiamo tuttavia che, progressivamente, i membri balcanici dell’Alleanza assumeranno peso sempre maggiore finendo per essere loro stessi, in un futuro prossimo, ad assumersi la responsabilità del ruolo di garanti della pace e degli equilibri interni dei Balcani sud-occidentali. 

Quando si parla di Balcani, però, è impossibile porre termini temporali. Nella ex Yugoslavia il tempo scorre più lentamente che nel resto del mondo. E gli echi di guerre lontane continuano ad essere forti ed a suscitare irrequietezze che assumono forme diverse: valichi, dazi, lingua e addirittura targhe automobilistiche… 

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