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Donald Trump, l'arresto-show: ecco il piano del tycoon

di Matteo Legnani giovedì 23 marzo 2023

3' di lettura

Venite a prendermi, se ne avete le palle. Donald Trump ha preso a modo suo l’accusa di corruzione che gli è stata formulata dal procuratore distrettuale di Manhattan, il democratico Alvin Bragg. Ad amici e collaboratori chiusi con lui in queste ore, in attesa degli eventi, presso la residenza di Mar-a-Lago in Florida, l’ex presidente ha confidato di essere più che pronto a sfilare ammanettato tra telecamere e flash dei fotografi, se e quando gli agenti andranno ad arrestarlo. Pare anche, scrive il New York Times, che Trump abbia chiesto ai suoi consiglieri se sia più fotogenico al momento dell’arresto «mettere su» il sorriso sarcastico più volte esibito in pubblico oppure un broncio più serio e preoccupato. Una cosa è certa: il tycoon, da ex star dei reality, sfrutterà al massimo le scioccanti immagini che dovessero ritrarlo in manette, primo presidente o expresidente degli Stati Uniti a essere arrestato o comunque formalmente accusato di un reato.

E, se fuori dal tribunale del distretto di Manhattan gli anti-trumpiani sono accorsi in massa in queste ultime ore per sostenere l’operato del procuratore distrettuale (democratico), i tempi della giustizia paiono allungarsi. Trump si aspettava di essere ufficialmente indiziato martedì, ma né quel giorno né ieri il gran giurì chiamato a formalizzare le accuse mosse dal procuratore si è riunito. E col passare del tempo, l’effetto mediatico della vicenda si è gonfiato. Già ora, comunque, gli avversari dell’ex presidente (che si è candidato alle primarie repubblicane a caccia di un secondo mandato alla Casa Bianca nel 2024) paiono essere riusciti nel miracolo di resuscitare un leader che, dopo l’esito deludente delle elezioni di medio termine dello scorso novembre, pareva politicamente morto e sepolto.

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RISUSCITATO

Da quel momento, mai i media americani si erano occupati di Trump come stanno facendo in questi ultimi giorni. Nemmeno quando aveva annunciato la sua ricandidatura alla presidenza. E se, davvero, il re del mattone dovesse essere incriminato o addirittura ammanettato in pubblico, la sua popolarità tra quell’America che nel 2016 lo aveva portato fino alla Casa Bianca tornerà quella di sette anni fa. «Protest, take our nation back!» aveva scritto l’ex presidente sabato scorso suo social network, Truth Social, chiamando a raccolta i suoi fedelissimi. E nelle ore successive, tutti i big del Partito Repubblicano incluso quel Ron De Santis, governatore della Florida, che sarà con ogni probabilità il suo più acerrimo avversario nelle primarie del GOP, non hanno potuto altro che fargli scudo, gridando alla cospirazione e bollando come «politiche» le accuse mosse nei suoi confronti dal procuratore Bragg. La stessa vicenda processuale sembra fatta apposta per un personaggio come Trump.

Non che sia l’unica che ormai da tempo lo veda sotto la lente della giustizia per una miriade di questioni tra cui le sue tasse, i documenti segretati trovati presso la sua residenza privata in Florida, l'assalto al Campidoglio compiuto dai suoi sostenitori il 6 gennaio 2020. Roba seria. Ma qui si parla di una pornostar, Stormy Daniels (all'anagrafe Stephanie Gregory Clifford), con la quale Trump avrebbe avuto una relazione, anche sessuale, iniziata nel lontano 2006. E per zittire la quale, alla vigilia del suo sbarco alla Casa Bianca nel 2016, avrebbe pagato 130mila dollari per il tramite del suo legale e factotum, Michael Cohen.

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CORRUZIONE

Sul piano giuridico, se le accuse fossero provate (e secondo lo stesso New York Times, che è tutto fuor che filo-trumpiano, non sarà facile) Trump verrebbe condannato per corruzione. Sul piano politico, la vicenda ha messo in difficoltà la stella nascente dei Repubblicani, il governatore della Florida Ron DeSantis. Gli ultimi sondaggi dicono che, in un testa a testa, DeSantis (ancor prima di essersi candidato e di aver fatto anche un solo giorno di campagna elettorale) sarebbe assai più vicino a Biden di quanto non lo sia Trump. Comunque viene da chiedersi ancora una volta che razza di democrazia sia quella americana, in cui le sorti di una elezione, o, come in questo caso, quelle di un politico o di un candidato, finiscono per dipendere da una vicenda di gonnelle e lenzuola. Si contano a dozzine i casi di candidati o quasi-candidati finiti in miseria per avventure extraconiugali o rapporti con professioniste del sesso. Trump (sempre che non ne esca con una condanna) potrebbe essere il primo a uscirne non solo indenne, ma addirittura rafforzato. Ma anche questo non salverebbe la credibilità della democrazia americana. 

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