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Sergio Romano, pace tra Ucraina e Russia? "Più facile la guerra mondiale"

Mirko Molteni
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La guerra russo -ucraina e la generale tensione fra l’Occidente e una Russia che si sta espandendo anche in Africa stanno creando una situazione sempre più pericolosa. Tanto più che ce lo spiega molto chiaramente Sergio Romano, ambasciatore italiano presso la Nato dal 1983 al 1985 e a Mosca, ancora ai tempi dell’Unione Sovietica, dal 1985 al 1989. Fra i maggiori esperti internazionali di diplomazia e geopolitica, Romano è anche autore di vari libri, ultimi dei quali “La scommessa di Putin” del 2022 e “La democrazia militarizzata” del 2023.

 

 

 

Ambasciatore, a Est c'è la guerra russo-ucraina, a Sud i mercenari russi allargano l'influenza del Cremlino in Africa. È un grande arco che cinge l'Europa?
«Cominciamo dall'Africa. La Wagner è nata come istituzione privata, ma è poi divenuta uno degli strumenti principali della politica dello stato russo. Come abbiamo visto in genere nel Sahel e in specifico nel Sudan recentemente colpito dalla guerra civile, questi mercenari consentono ai russi di sfruttare le risorse africane, come le miniere d'oro sudanesi, attuando quella che di fatto è una nuova forma di colonialismo, in cui è molto forte il ruolo del denaro. Pensiamo che un colonialismo russo in Africa è qualcosa di inedito, non esisteva cento anni fa. L'espansione della Russia nel Continente Nero è anche sintomo del tentativo di rivalsa dopo la crisi seguita al crollo del regime sovietico. Oggi la Russia non è più un pericolo dal punto di vista ideologico, poiché il comunismo è fallito nel 1991. Ed è curioso che il Cremlino si affidi a una compagnia di mercenari, in sostanza un'azienda privata, che ai tempi del comunismo sovietico sarebbe stata considerata peccaminosa, nel vero senso della parola».

La guerra dura da oltre un anno. Com’è stato possibile il prolungarsi del conflitto senza nessuna credibile prospettiva di negoziati?
«La guerra in Ucraina è ben più ampia di quanto si creda. Non è solo uno scontro russi-ucraini, cioè una sorta di guerra civile all'interno della sfera ex-sovietica, poiché vi sono coinvolti tutti gli attori esterni che in qualche modo appoggiano le due parti. È difficilissimo pensare a una soluzione diplomatica se pensiamo che sono in gioco interessi di terze parti, come gli Stati Uniti. Ma ciò che davvero rende, a mio parere, impossibile una soluzione negoziale è il fatto che il conflitto è un vero duello tra due persone, ovvero il presidente russo Vladimir Putin e quello ucraino Volodymir Zelensky. Entrambi i presidenti hanno puntato sul conflitto tutto il loro futuro politico. Essi combattono, certamente anche per i loro paesi, ma anche per sé stessi. Da un confronto del genere potranno uscire solo un vincitore e uno sconfitto. Non è possibile una mediazione, almeno fino a prova contraria. E chi dei due sarà sconfitto, Putin o Zelensky, perderà la faccia e inevitabilmente perderà il potere politico in patria».

Cosa ne pensa del recentissimo attacco di droni sul Cremlino, che i russi attribuiscono agli ucraini, ma che questi negano?
«Quello che sta accadendo nel conflitto Mosca-Kiev, con l'ampio uso dei droni, potrebbe essere lo spunto di un capitolo di un ipotetico libro da intitolarsi “Quando la guerra diventa scienza”. Infatti, una volta di più la scienza dimostra di guidare lo sviluppo delle rivoluzioni militari con armi sempre nuove. Per esempio, lo abbiamo visto nella Prima Guerra Mondiale, purtroppo, con i gas venefici. Oggi l'arma nuova è il drone, agile e in grado di superare le difese, sfuggire all'avvistamento, sbucare di sorpresa. Inoltre il fatto che non abbiano piloti a bordo, che possano essere catturati in caso di abbattimento e interrogati, consente a chi usa i droni di poter negare, eventualmente, di averli impiegati per una qualche azione d'attacco. Sono un’arma segreta perfetta».

 

 

 

Subire attacchi nel cuore del territorio russo porterà Mosca a un’escalation con la scusa che la guerra diventa assoluta e di natura esistenziale per la Russia?
«Per la propaganda russa questa guerra è in realtà fin dall'inizio considerata esistenziale. E perciò, come dicevo prima, non vedo possibilità di compromesso. Oserei dire che questa è una guerra di tipo medievale, proprio per la contrapposizione personalistica fra i due presidenti, a cui accennavo prima, come fossero monarchi medievali. I combattimenti, ripeto, continueranno a oltranza finchè uno di due presidenti, Putin o Zelensky, accetterà la sconfitta, venendo poi cacciato dal potere, a meno che non venga eliminato fisicamente. Chiaramente, i fatti potrebbero poi smentirmi, ma la Russia continuerà a considerare l’Ucraina come un suo satellite».

Intanto cresce la tensione Nato-Russia sui confini, specie nei cieli e nelle acque del Baltico e del Mar Nero. Si rischiano incidenti militari e l'allargamento della guerra all'Europa oppure si è preparati a disinnescare la miccia?
«Io immagino cosa possa esserci nella mente del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e degli alti comandanti di teatro dell'alleanza atlantica. Possono essere anche personalmente, e intimamente, convinti dell’opportunità di mantenere la pace, e umanamente sperare in questo. Ma il loro mestiere, la loro missione professionale, è far sì che i loro paesi, e l’alleanza tutta, siano pronti in qualsiasi momento alla guerra, se ritenuto inevitabile».

Ma così non si rischia lo scoppio di una guerra che nessuno in realtà vuole, come nel 1914 con la Prima Guerra Mondiale, con le nazioni trascinate nel precipizio dall'automatismo delle mobilitazioni dei rispettivi eserciti?

«Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nell'estate 1914, c'era una situazione di forte competizione tra le varie potenze europee. C'erano paesi la cui forza militare cresceva rapidamente e ciò preoccupava le altre nazioni. Pensiamo, per fare un esempio notissimo, alla sfida navale fra Germania e Gran Bretagna, che in quell'epoca facevano a gara a varare incrociatori e corazzate. A causare il precipitare degli eventi è stata l'estrema professionalità dei generali, che badavano anzitutto alla loro fama, alla loro missione integerrima di prepararsi alla guerra, al loro orgoglio».

E oggi? Come siamo messi oggi rispetto al 1914?

«Oggi, purtroppo, vedo un quadro della situazione troppo simile a quello del 1914. Stessa prevalenza di un approccio troppo tecnico-professionale, che però espone a pericoli di escalation come accadde oltre un secolo fa precipitando l'Europa nella catastrofe di un conflitto generale». 

 

 

 

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