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Donald Trump è già stato presidente: perché questa è la sua vera forza

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Carlo Nicolato
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No, tecnicamente Donald Trump non è salvo, nel senso che il processo sulla sua immunità presidenziale relativa ai fatti del 2020, si farà, ma non così presto come i Dem e il procuratore del Dipartimento di Giustizia Jack Smith speravano, e forse inizierà così tardi che gli eventi travolgeranno lo stesso processo, lo renderanno inutile.

Come è noto la Corte Suprema, o Scotus come viene chiamata negli Usa, ha rigettato la richiesta dello stesso procuratore speciale che indaga sull’ex presidente, rifiutandosi di fatto di emettere una sentenza d’urgenza sulla questione e quindi, involontariamente o meno, ha assecondato il gioco degli avvocati di Trump che sperano di far iniziare tale processo il più tardi possibile. L’obiettivo, dicono i ben informati, sarebbe arrivare direttamente alle elezioni di novembre dopo le quali, se eletto, Donald Trump avrà il controllo sul Dipartimento di Giustizia e potrà far ritirare le accuse penali contro di lui.

Gli avvocati del Tycoon invece hanno detto ai giudici che la questione è troppo importante per essere affrettata e che Smith, cercando di accelerare i tempi, sta solo eseguendo gli ordini dei Dem. Quel che è certo è che in base alle leggi vigenti negli Usa è molto complicato riuscire a incastrare un ex presidente, uscito indenne da un impeachment con gli stessi capi d’accusa e di nuovo candidato alle elezioni.

Ancora più complicato se l’ex presidente in questione ha teoricamente dalla sua la più alta corte della magistratura federale. Sei dei nove magistrati dell’attuale Corte suprema sono infatti stati nominati da presidenti repubblicani, tre dei quali dallo stesso Trump. Si tratta di Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett. Nel primo e nel terzo caso fu il decesso del giudice precedente ad aprire la porta per una nuova nomina, ma in quello di Gorsuch ci fu anche una serrata questione politica di mezzo. Il giudice precedente Antonin Scalia era morto proprio alla fine del mandato di Obama e quest’ultimo, forzando le consuetudini che suggerivano che con le elezioni alle porte il successore avrebbe dovuto essere scelto dal nuovo presidente, aveva subito nominato il suo uomo, Merrick Garland. Il Senato però, che era a maggioranza repubblicana, si mise di traverso fino all’elezione di Trump. Ma nel caso della sentenza specifica di questi giorni il giudice più controverso è stato sicuramente Clarence Thomas, nominato addirittura da Bush padre nel 1991, che alcuni deputati Dem chiedevano fosse ricusato in quanto la moglie Virginia avrebbe avuto avuto un ruolo nel promuovere false affermazioni elettorali a favore di Trump.

La ricusazione non c’è stata e la Corte si è anche rifiutata di offrire spiegazioni per aver respinto la richiesta del procuratore Smith. Secondo qualcuno questa è la prova che i giudici non sono stati super partes, ma in realtà è una consuetudine della Corte non spiegare le sue ragioni per respingere una mozione di revisione accelerata. I giudici hanno semplicemente ritenuto che non fosse il caso di accelerare il processo ma non sarà certo questa l’ultima volta che se ne occuperanno. La questione dell'immunità tornerà alla Scotus dopo che una corte d'appello federale a Washington avrà esaminato la sentenza del giudice distrettuale Tanya Chutkan che a sua volta ha respinto una prima richiesta di immunità avanzata da Trump. La data prevista è il 9 gennaio mentre quella di inizio del processo è il 4 marzo, un giorno prima delle Super Tuesday delle primarie.
 

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