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Geert Wilders, la svolta: a cosa rinuncia per governare, cambia tutto in Olanda

Andrea Morigi
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Al rientro dalle vacanze natalizie, anche Geert Wilders sembra diventato più buono. Ha abbandonato perfino il progetto di legge per chiudere le moschee e vietare il Corano e il velo integrale. In realtà, quel testo era rimasto più che altro come bandiera, visto che già da cinque anni era sepolto in un cassetto dopo che il consiglio di Stato dei Paesi Bassi aveva intimato di ritirare la proposta, giudicata incompatibile con le garanzie costituzionali.

Per evitare una retromarcia in piena campagna elettorale, controproducente dal punto di vista dei consensi, il leader del Pvv, pur forte di un risultato che ne ha consacrato la vittoria misurabile in 37 seggi su 150 in Parlamento, ha atteso di ricevere da re Guglielmo Alessandro l’incarico di primo ministro per spogliarsi dei panni dell’oppositore e assumere un profilo più istituzionale. Nella vicina Bruxelles, prima delle elezioni europee del prossimo giugno, troverebbero difficile da accettare anche all’Aja un’ostilità modello Budapest.

Si consiglia semmai un’opzione Meloni, disponibile al dialogo pur senza rinunciare alle radici. Lo hanno fatto capire con l’approvazione in toto del Pnrr italiano dopo un taglio dei fondi Ue all’esecutivo ungherese guidato da Viktor Orban, accusato di non rispettare le regole dello Stato di diritto. E anche le procedure d’infrazione contro la Polonia governata per sei anni da Mateusz Morawiecki ne sono una conferma, al netto degli attacchi alla libertà di stampa già sferrati dal suo successore liberaldemocratico Donald Tusk con l’epurazione dei dirigenti di radio e tv statali e dell’agenzia di stampa polacca Pap. Certe libertà se le possono prendere solo i progressisti, anche se come a Varsavia si ritrovano in coalizione con sedicenti conservatori.

 

NEGOZIATI
Quindi, mentre ancora non si sa se il governo olandese riuscirà a nascere con una maggioranza di centrodestra, per non essere definiti sovranisti e uscire da un fantomatico “arco costituzionale” si devono smussare gli spigoli più appuntiti. Ieri, dopo una pausa di due settimane, nella tenuta De Zwaluwenberg a Hilversum sono ripresi i negoziati con il Partito popolare per la libertà e la democrazia (Vvd), Nuovo contratto sociale (Nsc) e Movimento civico-contadino (Bbb). Fino a giovedì, i media olandesi prevedono che al centro delle trattative tra Wilders (Pvv), Dilan Yesilgöz (Vvd), Pieter Omtzigt (Nsc) e Caroline van der Plas (Bbb) vi saranno le garanzie sullo Stato di diritto. Tolta dal tavolo delle trattative l’accusa di islamofobia, rimangono comunque attuali, dopo l’arresto di terroristi di Hamas operativi fra Germania, Danimarca e Olanda, le minacce del jihadismo che nel 2004 uccise barbaramente il regista Theo van Gogh e provocò l’esilio della scrittrice Ayaan Hirsi Ali.

 

MAGGIORANZA URSULA
Eppure lo spettro che si percepisce aggirarsi per il Continente (e anche in America) è quello di Marine Le Pen (e Donald Trump) e il pericolo da esorcizzare è una vittoria di partiti come Alternative für Deutschland. Ed è perciò che proprio ieri il presidente del gruppo liberaldemocratico Renew Europe al Parlamento europeo, Stéphane Séjourné, “marito” del neopremier francese Gabriel Attal, ha escluso alleanze tra il suo gruppo, i popolari europei e i conservatori dopo le elezioni del prossimo giugno finché questi ultimi ospiteranno fazioni «antagoniste nei valori», di fronte a una «incompatibilità fondamentale».

Contano le parentele, ma soprattutto gli apparentamenti, insomma. Tanto più che la candidatura al Parlamento europeo di Charles Michel, presidente del Consiglio europeo ed esponente di Renew, sembra indicare uno scricchiolio dell’attuale assetto politico fondato su un accordo fra popolari, socialisti e liberaldemocratici, la formula Ursula tanto per intendersi, insidiata dalla crescita della destra, sia pure divisa tra i gruppi Id (Identità e Democrazia), di cui fa parte la Lega, ed Ecr (Conservatori e Riformisti), dove siede FdI. Ma per ora le istituzioni comunitarie riflettono l’esito delle elezioni del 2019 e significa che, per passare alle cose serie, come la spartizione dei ministeri chiave, anche nella patria dei tulipani ci vuole la benedizione, sebbene a denti stretti, dei partner Ue più autorevoli, come la socialdemocratico-verde Germania e la Francia di Emmanuel Macron. Il favore dei governi di centrodestra, a partire da Palazzo Chigi, per arrivare ai Paesi Baltici e alla Scandinavia, passando per i Balcani, appare scontato.

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