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Donald Trump, l'accanimento dei giudici lo sta aiutando a vincere

Carlo Nicolato
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La schiacciante vittoria di Donald Trump nello Iowa dimostra che in democrazia tentare di annientare l’avversario attraverso la magistratura è una strategia perdente. Noi lo sappiamo fin troppo bene, in Italia per 20 anni i giudici hanno tentato tutte le strade possibili per abbattere Silvio Berlusconi, ci hanno provato con i reati finaziari, l’evasione fiscale, con la mafia, perfino il sesso, ma alla fine hanno sempre e solo ottenuto il contrario, rimettendo miracolosamente il cavaliere in sella dopo ogni caduta elettorale.

La storia si sta puntualmente ripetendo ora con Trump negli Stati Uniti, complice qui un sistema giudiziario che per come è strutturato nemmeno fa più finta di essere indipendente.

UNA FORZA DUREVOLE
Ai bei tempi, quanto l’America pretendeva di rappresentare la democrazia diretta più rispettabile al mondo, si faceva affidamento sulla buona fede dei giudici eletti in quota ai partiti. Ora questo muro sembra essere crollato, abbattuto da quella mentalità giacobino-comunista che ha contagiato anche i democratici e dalla quale gli Stati Uniti fino a qualche anno fa sembrava essere immune. I giudici insomma, con 4 cause penali e 91 capi d’accusa più o meno fondati, hanno compattato attorno al tycoon un consenso granitico e crescente che il New York Times ha definito, all’indomani della vittoria nello Iowa, «la forza più durevole nella politica americana». Una forza che non solo permetterà a Trump di vincere le primarie repubblicane ma verosimilmente anche di trionfare nella sfida contro Biden, come già ampiamente dimostrano i sondaggi.

 

E se per caso i giudici troveranno il modo di fermare la corsa del tycoon, tale forza centrifuga non si disperderà, ma verrà raccolta dal candidato superstite, che sia Ron DeSantis o Nikki Haley, e Biden perderà in ogni caso. I Dem, in poche parole, affidandosi alla “strategia italiana” si sono fottuti da soli. Il fumus persecutionis che aleggia attorno al tycoon non sarà spazzato via da una semplice sentenza ma tradotto in forza e spirito di rivalsa e di vendetta contro chi l’ha ispirato e soffiato.

L’accanimento dei giudici tuttavia non spiega tutto, sarebbe una lettura troppo semplicistica e riduttiva. Il New York Times sostiene che questo “zoccolo duro” consolidato dalle inchieste sia in realtà il risultato di un rapporto con pochi precedenti in politica, almeno negli Usa, tra Trump e i suoi sostenitori, composto da una certa dose di culto della personalità e da molta stanchezza nei confronti della democrazia rappresentativa. Questo farebbe di Donald una specie di potenziale dittatore capace di scatenare il lato peggiore del popolo fino alle estreme conseguenze, come i fatti del 6 gennaio dimostrerebbero. È la “voglia dell’uomo forte”, diremmo noi, di “leader solo al comando”. Ma il NYT dimentica che Trump ha anche un programma politico, che gran parte delle cose che ha fatto durante il suo mandato presidenziale sono state mantenute e rafforzate dallo stesso Biden. Compreso la stessa contestata politica migratoria.

 

AMERICA FIRST
A differenza di Biden, tuttavia, il tycoon ha accuratamente evitato di invischiare il suo Paese in nuove e vecchie guerre, si è concentrato più che altro sulla politica interna che è quello che i suoi elettori, e in generale gli elettori repubblicani chiedono. “America first”, quello che una volta veniva definito semplicemente “isolazionismo”. Insomma, come ha detto Newt Gingrich, ex presidente della Camera e suo consigliere ai tempi, «Trump non è un semplice candidato, è il leader di un movimento nazionale... e nessuno finora è riuscito a capire come affrontare il leader di un movimento». 

E le questioni legali che continuano ad accumularsi non faranno altro che «far infuriare il suo movimento e aumentare incredibilmente la rabbia del suo popolo». Prendendo atto dei risultati del caucus dell’Iowa il presidente Biden ha ammesso che ormai non ci sono più dubbi su chi sarà il suo sfidante a novembre, ma non a caso il Washington Post avvisava ieri che un «un corteo di eminenti democratici» sta cercando invano di fargli capire il rischio che sta correndo: senza nascondere peraltro che la sua bassissima popolarità, nonché la sua stessa età, sono totalmente inadeguate a far fronte allo tsunami Trump.

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