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Canale di Suez bloccato? Le tre regioni italiane travolte

Antonio Castro
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Suez potrebbe fare da detonatore all’ennesima crisi economica globale. Impossibile tralasciare i costi in vite umane, ovvio. Ma il conflitto rischia di ribaltarsi sulle nostre tavole, nelle nostre imprese, sui conti correnti degli italiani che pensavano di averla scampata dopo la batosta Covid, l’Ucraina, la crisi nelle forniture di gas, l’inflazione galoppante.

Calcolati (per difetto) i danni che gli attacchi dei guerriglieri Huthi hanno provocate alle rotte commerciali solo al mercato europeo ngli ultimi mesi, si comincia a ragionare nell’ordine di qualche miliardo. Se la situazione non dovesse tranquillizzarsi le proiezioni dell’Ufficio studi Confartigianato ipotizzato danni all’interscambio EstOvest per 36 miliardi. A tutto questo c’è da aggiungere la difficoltà negli approvvigionamenti energetici (il Qatar la settimana scorsa ha sospeso le spedizioni di gas liquefatto), la Casa Bianca ha annunciato l’altro ieri la scelta di ridurre le forniture di Gnl verso l’Europa. E per fortuna che i depositi sotterranei europei sono pieni al 90%. E che l’inverno - ultime settimane a parte- si è palesato con temperature moderate.

 

 

 

Di certo l’imbuto creato dagli assalti a colpi di droni iraniani, missili artigianali e barchini kamikaze condotti da yemeniti in gonnellino e ciabatte ha costretto a passare da un’emergenza all’altra Prima stavamo tutti a guardare alle “scaramucce” tra russi e ucraini. L’assalto del 7 ottobre dei guerriglieri di Hamas contro il Sud di Israele ha spostato le priorità nel cuore del Mediterraneo. E nel cuore del Mare Nostrum ci siamo noi. Non a caso il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha già messo le mani avanti: «L’Italia ha le capacità per assumere il comando della missione europea nel Mar Rosso». Giovedì prossimo è già in calendario l’audizione del ministro Crosetto per presentare «la dotazione di personale e mezzi delle Forze armate in funzione della partecipazione alla missione dell’Unione europea a garanzia delle rotte commerciali sul Mar Rosso».

Al momento il nostro Paese ha dislocato due unità di ultima generazione: la seconda nave militare italiana ha preso posizione a inizio gennaio nelle acque del Mar Rosso minacciate proprio dagli attacchi degli Huthi. La fregata “Federico Martinengo” si è unita rapidamente alla “Virginio Fasan”, schierata in zona sotto Natale. Il prossimo passo sarà di potenziare la presenza anche per intervenire, nel caso, con un maggiore sostegno aereo. Probabilmente facendo ricorso alle strutture logistiche americane nell’area (dagli Emirati Arabi alle basi israeliane che si affacciano sulla propaggine meridionale dello Stato, Eilat). Di certo la concentrazione di unità navali e di forze militari occidentali coordinate contribuirà a ripristinare l’ordinaria navigabilità del canale. Anche perché oltre all’evidente pasticcio economico internazionale si affaccia all’orizzonte un problema locale da non sottovalutare.

 

 

 

CROLLO DEL TRAFFICO

A Suez tra luglio-settembre i diritti di transito applicati alle navi di passaggio sono aumenti del 100,2%, a 2,7 miliardi di dollari. Il Cairo - alle prese già con una delicata crisi con i vicini israeliani e gli scomodi cugini palestinesi (che non intendono accogliere neppure nel deserto del Sinai) - non può permettersi di perdere il gettito costante di questo “bancomat” dei noli di passaggio. Il presidente egiziano al Sisi ha già il suo bel da fare a tenere a bada gli integralisti di casa propria.

I tagli alle forniture di grano ucraino (prodotto generalmente a basso costo che costituisce buona parte della dieta della popolazione), aveva già allarmato l’ex militare oggi alla guida di uno dei più popolosi Stati del nord Africa. Una riduzione prolungata delle rimesse economiche dal traffico navale potrebbe innescare nuove tensioni non necessarie. Le famose “primavere arabe” si sono concluse con cambi di regime ma nella sostanza la popolazione deve fare i conti con una povertà crescente e l’unica opzione è ancora oggi di scappare in Europa. Insomma, l’Italia ha l’interesse prioritario a gestire non solo il fronte del Maghreb, ma anche garantire gli approvvigionamenti per un’economia come la nostra che vive di trasformazione. Ballano miliardi di Pil. Basta qualche numero per comprendere l’entità del danno già accertato. I noli dei container standard da 40 piedi sono lievitati del 400% in 3 mesi. Con rincari pure delle assicurazioni marittime. Compiere il periplo del capo di Buona Speranza comporta un allungamento di 15/18 giorni di navigazione. E un aumento medio per singola nave di 1 milione di dollari. Costi che finiranno per rimbalzare sui consumatori. Se poi dovessero cominciare a mancare le componenti essenziali per le nostre aziende non riusciremmo a rispettare le consegne, perdendo clienti e il relativo fatturato. È chiaro perché Crosetto preme per assumere il controllo magari alternandosi con i francesi - della “missione Suez”?

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