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Oleg Orlov, Putin al dissidente settantenne: "Vai al fronte"

Giovanni Longoni
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Morto un Navalny se ne fa un alto. Per ammazzare pure quello, probabilmente. Stavolta a subire le trovate crudeli del Regime tocca a Oleg Orlov, rimasto il più noto dissidente con Vladimir Kara-Murza al momento ospite delle prigioni della Federazione russa, dopo la dipartita del numero uno, Alexei Navalny appunto. Orlov, di professione biologo, è il presidente del Centro Memorial, la principale associazione per la tutela dei diritti umani in Russia, nata nel 1989 con lo scopo di far emergere tutti i crimini del regime sovietico e poi finita per risultare invisa anche all’entourage putiniano per tutte le sue attività, quelle legate al passato ma anche per le prese di posizione sull’attualità. Memorial nel 2021 è stata sciolta dalle autorità ma nel 2022 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace e da allora la repressione è stata sempre più dura sui suoi componenti. Orlov ne sa qualcosa: è in carcere per una condanna a due anni e mezzo a causa delle sue posizioni contrarie all’invasione dell’Ucraina espresse in un articolo. Ma ovviamente è tutta la sua attività di protesta a creare problemi al Cremlino. Ieri Oleg è riuscito a comunicare l’ultima trovata escogitata dai suoi aguzzini per piegare la sua tenacia.

Gli hanno offerto, a lui uomo di scienzia ormai settantenne, di andare a combattere in Ucraina. Putin ha infatti reclutato decine di migliaia di detenuti per la sua guerra, visti gli scarsi risultati ottenuti dalle forze armate che fanno ancora affidamento sulla leva. «Questo tipo di accordo», cioè libertà in cambio della firma per un periodo sotto le armi, «è stato proposto a tutti i nuovi arrivati delle carceri», ha spiegato lo staff di Memorial in un comunicato sul social Telegram. Orlov ha rifiutato. «Se smetto di lottare adesso, è come se cancellassi tutta la mia vita», ha fatto sapere il dissidente ai compagni. Ai carcerieri invece ha chiesto se non trovassero imbarazzante la proposta di mandarlo a combattere, data sua età avanzata. «Niente ci imbarazza», si è sentito rispondere. Orlov l’11 marzo è stato trasferito in un centro di custodia cautelare a nord-ovest di Mosca, dove gli è stata fatta questa offerta «quasi immediatamente» dopo il suo arrivo.

 



Come Navalny, che rientrò in Russia dalla Germania dove era stato trasferito per le cure dopo un tentativo di avvelenamento, anche Orlov nel 2021 ha rifiutato l’esilio in Occidente e ha scelto di restare nel suo Paese per «proseguire a combattere». Pochi sono in realtà i leader dell’opposizione democratica a Putin in prigione: molti sono morti, altri hanno lasciato il Paese. Non che questa mossa garantisca più di tanto l’incolumità fisica: qualche giorno fa, il braccio destro di Navalny, Leonid Volkov, che vive in Lituania, è stato aggredito da sconosciuti con un martello o un pestacarne: 15 colpi, un sistema tipico della mafia russa. Memorial intanto ha fatto sapere che il suo presidente incarcerato «si sente bene» e si è appena installato nella sua nuova cella con altri nove detenuti. Sarà anche così ma, chissà perché, il saperlo non ci fa sentire sollevati.

 

 

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