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Gran Bretagna, la vicenda di Carlo III è un testo di Shakespeare

Daniele Capezzone
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Carlo III d’Inghilterra Ieri, qui su Libero, Lavinia Orefici ha raccontato benissimo ai lettori tutto quello che c’è da sapere – o che al momento è possibile conoscere – sulla vicenda di re Carlo d’Inghilterra: una malattia che si trascina da mesi, cicliche e cupe voci di peggioramento, fino a una richiesta di vedere i nipotini che lasciava immaginare il peggio. Poi, all’improvviso, un filo di speranza, attraverso una nota di Buckingham Palace sul prossimo ritorno agli impegni pubblici del sovrano. Martedì, insieme a Camilla, compagna della vita, visiterà – non a caso – i malati di un centro oncologico; poi, in uno slancio di ottimismo, il comunicato si spinge a pianificare un rilevante appuntamento a giugno, quando avrà luogo la visita in Gran Bretagna dell’imperatore del Giappone.Ma non fatevi ingannare dalla prosa elegante ed essenziale di Buckingham Palace: qui non siamo nella cronaca, siamo dentro un testo di Sofocle o di Shakespeare, siamo insomma in una tragedia, in un dramma che non è reso meno umano né meno caldo dalla ineccepibile compostezza con cui è vissuto e raccontato. Non posso nascondervi, amici lettori, un’antica e sempre nuova ammirazione per la monarchia britannica, che continua a sorprenderci, a insegnarci qualcosa, a lasciare messaggi ben decifrabili per chi ne abbia la voglia e la pazienza.

L’AFFETTO CONQUISTATO
Carlo, nei lunghi annidi regno di sua madre Elisabetta II, non aveva brillato. Di più: per chi ami il conservatorismo liberale, aveva invece talora esondato, con prese di posizione (un’attenzione esasperata verso il green, non di rado con curvature apocalittiche) che erano insieme ingenuamente impolitiche e inopportunamente politicissime, dunque inappropriate rispetto al rigoroso canone di neutralità richiesto alla famiglia reale. Una cosa però – almeno ai miei occhi – l’aveva reso molto interessante: il coraggio e la dignità con cui, nel 2005, difendendo l’amore lungo e contrastato con Camilla, aveva scelto di sposarla. Entrambi divorziati, non ebbero altra opzione se non un matrimonio civile, seguito da una benedizione al castello di Windsor, senza una vera e propria cerimonia religiosa. Lui e lei rivelarono un desiderio sincero e trasparente di mostrarsi per ciò che erano, e di essere semplicemente accettati. Ed è successo: oggi l’uno e l’altra meritano l’affetto da cui sono circondati. E si è trattato di una conquista faticosa e tutt’altro che scontata: basti pensare a come, insieme a Elisabetta, Carlo e Camilla furono i bersagli di una notevolissima freddezza popolare nel 1997, al momento della morte di Diana, e per diversi anni successivi.

 

 

IL RUOLO DEL SOVRANO
La verità è forse – o a me piace ricostruirla così – è che Carlo stava compiendo la sua lunga preparazione. E infatti, una volta succeduto alla madre, nel settembre 2022, non ha sbagliato una mossa, è stato semplicemente perfetto. Immaginate di essere un cittadino britannico di qualunque opinione politica (pro Brexit o anti Brexit, conservatore o laburista): non c’è stata una singola parola, un solo gesto di Carlo, che abbia potuto discriminare qualcuno o metterlo a disagio, un solo cenno di partigianeria, un “monito” che sia suonato come un metter all’angolo o in castigo i portatori di un’opinione, di una convinzione, di un’idea. Nel suo comportamento c’è stato e c’è tutto ciò che si richiede a un re, in un sistema dove – ovviamente – a decidere è il voto dei cittadini. E allora perché c’è un sovrano? Non solo per una gloriosa tradizione, ma per l’intima convinzione che, oltre le legittime divisioni elettorali, occorra un punto di unità più alto che nessun politico – nemmeno un rispettato presidente della Repubblica, come accade in altri sistemi istituzionali – può offrire, perché un politico è pur sempre uomo di parte, o almeno è ricordato da alcuni come tale. E allora – sta qui il cuore, il senso stesso della monarchia britannica – occorre ricordare che non tutto è in palio in un’elezione, che i vincitori e i vinti sarebbero uniti da un legame più profondo che non dovrebbe essere messo in discussione da alcun risultato elettorale: onestamente, a maggior ragione dopo le chiassate del 25 aprile, dopo il tentativo della sinistra di usare la storia come un randello contro la destra di oggi (la quale a sua volta pare ragionare più da sconfitta che da vincitrice, culturalmente parlando: ma questa è una faccenda complicata di cui occorrerà riparlare), chi può permettersi di dire che qualcosa del genere stia accadendo in Italia? Altro che memoria condivisa, altro che legami profondi, altro che cornice unitaria: siamo più divisi e incattiviti che mai.

 

 

TRADIZIONE E CAMBIAMENTO
Non solo: anche sul piano del costume, la monarchia britannica accompagna i mutamenti della società. È insieme bastione della tradizione e specchio del cambiamento. Pensateci: i sovrani usciti da due divorzi, mille disavventure, ma anche le speranze risposte su William e Kate, la meraviglia dei bimbi, una dimensione di sogno e di speranza che un paese non dovrebbe mai perdere. Nel Regno Unito si litiga su tutto: ma resta uno spazio per vedere o almeno intuire un po’ di luce. Anche attraverso la partecipazione – di volta in volta preoccupata, sorridente, sarcastica, gossippara – alle vicende della famiglia reale. Ecco, ora che Carlo è meravigliosamente pronto, ora che si sta rivelando un fantastico re, un cancro lo contende crudelmente al suo popolo. E si torna a Sofocle o a Shakespeare. Quando un uomo è pronto a qualcosa, l’ombra della morte e del destino sembra allungarsi su di lui. Non c’è solo da sperare ardentemente nella guarigione. C’è da dire: viva il Re, God save the King.

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