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Pedro Sanchez, il nuovo capolavoro: ingovernabilità in Catalogna come a Madrid

Carlo Nicolato
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I socialisti spagnoli del premier Pedro Sanchez hanno ottenuto la maggioranza dei voti alle elezioni che si sono svolte ieri in Catalogna e che hanno registrato una bassa affluenza, al 58 per pento. "Inizia una nuova era", ha scritto Sanchez su X parlando di risultato "storico". Duro colpo, infatti, per il governo separatista in carica da oltre un decennio e ai sogni di indipendenza dei socialisti guidati a livello locale da Salvador Illa.

Secondo gli scrutini, il Partito Socialista della Catalogna (Psc) dell'ex ministro alla Sanità durante la pandemia Covid Illa ha ottenuto 42 seggi su un totale di 135 del Parlamento regionale, mentre il partito indipendentista di Junts si trova al secondo posto con 35 seggi. Il partito separatista in carica più moderato, Esquerra Republicana de Catalunya (Erc) ha ottenuto 20 seggi. "Una nuova era per i catalani, qualsiasi cosa pensino", ha dichiarato Illa incontrando i suoi sostenitori e facendo eco a Sanchez. I partiti separatisti formati da Erc, Junts, Cup di estrema sinistra e Alianca Catalana di estrema destra non hanno i 68 seggi necessari per poter formare un governo di coalizione. Anche i socialisti di Illa dovranno stringere un accordo, molto probabilmente con l'Erc, ma potrebbero anche provare a formare u''alleanza con l'estrema sinistra Sumar e con il Partito popolare conservatore e l'estrema destra Vox


Di seguito l'articolo di Carlo Nicolato su Libero in edicola oggi, lunedì 13 maggio: 

In Catalogna hanno vinto i socialisti, ma questo non significa nulla o quasi. Anche perché i litigiosi partiti indipendentisti messi insieme potrebbero raggiungere la maggioranza dei seggi e andare loro a governare. O forse perché più probabilmente a governare non ci andrà nessuno e si tornerà alle elezioni.

La politica spagnola non smette mai di sorprenderci per quanto è bizzarra, figuriamoci quella catalana che alle sue intrinseche caratteristiche già di per sé sconcertanti (sette partiti indipendentisti) somma quelle di Madrid, intersecandole e moltiplicandole in una commedia dell’assurdo. Le elezioni di ieri non hanno disatteso le aspettative, con in aggiunta un furto di rame sulla rete ferroviaria locale che ha messo in forse fino all’ultima l’orario di chiusura del voto. Sostanzialmente prima del voto le domande che ci si poneva erano le seguenti: vincerà davvero il socialista Salvador Illa, l’uomo di Sanchez, come prevedono i sondaggi? Nel caso ci sarà un governo tripartito, cioè socialisti (PSC), Erc e Catalunya en Comú, meglio nota come Comuns? La somma delle forze indipendentiste raggiungerà la maggioranza in Parlamento? E il candidato alla presidenza Puigdemont, pronto a tornare dall’esilio appena dopo il voto, tornerà anche alla presidenza?

A queste domande sostanzialmente le elezioni non hanno dato alcuna risposta definitiva. Ma c’è almeno una certezza, e cioè che Puigdemont ha vinto la sfida con i rivali di Erc e per sua espressa dichiarazione, non ha alcuna intenzione di appoggiare il presidente “costituzionalista”, come lo chiamano quelli di Junts, cioè non consentirà a Salvador Illa di governare per altri 4 anni come il burattino della Moncloa.

Tutto semplice no? Se non fosse che ovviamente i partiti indipendentisti, in particolare Erc e Junts, hanno fatto campagna elettorale contro i socialisti con i quali però a Madrid governano, e si sono fatti battaglia tra di loro come hanno sempre fatto.

E che in mezzo c’è anche la promessa di un referendum, sostanzialmente la ripetizione di quello illegale che aveva portato Barcellona e Madrid allo scontro (non solo istituzionale), all’arresto di vari indipendentisti e alla fuga in Belgio dello stesso Puigdemont. Quest’ultimo alla vigilia del voto aveva detto che era più che mai pronto a tornare in patria da vincitore «per non dover andare via mai più». «Per questo andammo in esilio, per tornare» ha detto secondo una logica non molto chiara, «è arrivata l'ora di tornare».

A fare il presidente ovviamente. Il leader di Erc Pere Aragonés aveva invece detto che ogni voto che non sarebbe andato al suo partito avrebbe avvantaggiato «il Psc più filospagnolo della storia», e questo nonostante il suo partito sia quello che non ha mai escluso a priori un appoggio a Salvador Illa.

Aragonés però sembra non avere i numeri, al massimo potrà provarci con Junts e gli altri indipendentisti con la prospettiva tuttavia che il mai amato Puigdemont torni alla presidenza, dal momento che Erc è arrivato secondo. Che destino bizzarro! D’altronde questa è la Spagna (e la Catalogna fino a prova contraria è ancora in Spagna).

A livello nazionale le elezioni le avevano vinte i popolari, ma poi alla fine al governo ci è andato quel furbone di Sanchez, proprio grazie all’appoggio condizionato degli indipendentisti che in cambio hanno chiesto l’amnistia per Puigdemont e una mezza garanzia sul referendum per l’indipendenza.
Tutto chiaro no? Per nulla, e lo dimostra anche il fatto che in questa breve campagna elettorale di amnistia e indipendenza non si è praticamente parlato, ma entrambe le questioni sono sempre state ben presenti sullo sfondo come i più classici degli invitati di pietra. L’ultimo scenario è anche quello più probabile: tutti contro tutti. Veti incrociati, blocco totale e ripetizione delle elezioni. In questo caso, ma anche in tutti gli altri, ne uscirà un perdente certo, proprio il vincitore di queste elezioni catalane: Sanchez. È il karma, il suo governo nato da una sconfitta e dal ricatto degli indipendentisti, rischia di cadere per una vittoria sugli stessi indipendentisti. 

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