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Dagli Usa all'Europa, la democrazia più che stare male è in rianimazione

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Francesco Damato
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Nell’estate di cinquant’anni fa, la prima del Giornale uscito da meno di due mesi, Indro Montanelli affidò a Enzo Bettiza, col quale divideva la stanza della direzione, il commento alla deposizione - come lui la chiamò subito - di Richard Nixon: il 37esimo presidente degli Stati Uniti, già vice di Dwigt Eisenhower, costretto alle dimissioni per l’affare noto come Watergate. Una marachella, direi, rispetto a quello che in Italia abbiamo visto e vediamo ancora in materia di intercettazioni e simili.

Enzo confezionò l’articolo in poco più di un’ora e Montanelli glielo titolò personalmente con una sola parola: Regicidio. Che purtroppo non era il primo nella storia degli Stati Uniti. E non sarebbe stato purtroppo l’ultimo, né fisico né metaforico. Le cronache della corsa alla Casa Bianca provenienti da oltre Atlantico prima e dopo la rinuncia di Joe Biden alla conferma, prima e dopo l’attentato fallito per un millimetro all’ex presidente aspirante all’elezione Donald Trump, che vorrebbe i danni dagli avversari per avere cambiato il cavallo contro cui battersi, hanno indotto anche estimatori incalliti degli Stati Uniti, e non solo relativamente recenti come Walter Veltroni, restituito dalla politica al giornalismo, a scrivere di una democrazia in serie, pericolose difficoltà.

 

Una democrazia che “non sta bene” un po’ dappertutto, come ha diagnosticato di recente Papa Francesco sovrapponendo alla sua veste bianca il camice di un medico della politica. Non sta bene soltanto, Sua Santità?, come anche la buonanima del laicissimo Eugenio Scalfari si era abituato a chiamare il Papa che lo aveva onorato delle sue letture poi delle sue telefonate, infine di una certa amicizia che non so fino a che punto avrà potuto aiutarlo nell’affrontare quel grande mistero che ci aspetta tutti dopo la morte.

Più di una democrazia che “non sta bene”, mi sembra francamente di vivere una democrazia in rianimazione: al di là e al qua dell’Atlantico, anche nella nostra Europa. Che è riuscita in poco più di un mese a votare per il rinnovo del suo Parlamento e a fare finta che non si sia votato per niente. Il nuovo parlamento è presieduto dalla stessa che aveva guidato il precedente. E la nuova Commissione, per la cui formazione la presidente - anche lei la stessa di quella precedente e tuttora uscente si è preso tutto il tempo possibile, e forse anche impossibile, al riparo di vacanze che metteranno a dura prova i suoi telefonini privati e di servizio.

La nuova Commissione di Bruxelles eredita dalla vecchia non solo la presidente teutonica Ursula von der Leyen ma anche un dossier sul cosiddetto “stato di diritto” nei paesi dell’Unione confezionato per la parte riguardante l’Italia con materiale attinto prevalentemente presso le opposizioni di vario colore al governo in carica. Che animano le fotografie del cosiddetto “campo largo”, ora addirittura larghissimo, di quella che Pier Luigi Bersani chiama ottimisticamente “alternativa”. E che l’inesauribile Goffredo Bettini, tornato alla loquacità di un tempo, quando aveva scoperto e indicato persino in Giuseppe Conte «il punto più alto di riferimento dei progressisti» in Italia, ha appena esortato sul Riformista a prepararsi alle elezioni anticipate. Come se il presidente della Repubblica fosse già pronto a sciogliere - chissà perché - le Camere elette meno di due anni fa.

 

Di quel dossier da cui l’Italia esce come un paese praticamente fascistizzato, in cui si vorrebbe persino eleggere direttamente il presidente del Consiglio, e non solo i sindaci e i presidenti delle regioni imprudentemente sperimentati da anni, il meno che si potesse e si possa tuttora dire è quello che ha già scritto Libero definendolo “una patacca”. E sorprendendo, o addirittura scandalizzando i soliti benpensanti, magari persino nel governo dove qualche volenteroso ministro si è consolato vedendo il documento in continuità, diciamo così, rispetto a valutazioni espresse a Bruxelles in passato, quando Giorgia Meloni era ancora all’opposizione in Italia e le maggioranze erano di colore diverso. O scorgendovi consolanti riconoscimenti di progressi compiuti, per esempio, sulla strada della digitalizzazione giudiziaria: l’unica che forse allevierà le colpe di quel demoniaco ministro della Giustizia che viene considerato a sinistra l’ex pubblico ministero Carlo Nordio. Uno che si permette di leggere e di non capire, dichiaratamente e per giunta in Parlamento, un’ordinanza di tribunale.

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