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Quel 10% di canadesi affascinati dal sogno a stelle e strisce

L'annessione del Canada? Occhio, perché non tutti i potenziali neo-statunitensi percepiscono negativamente la possibilità
di Costanza Cavalli lunedì 24 marzo 2025

3' di lettura

Se per il novanta per cento dei canadesi il solo pensiero di diventare americani è un’apostasia, per il restante dieci sarebbe una benedizione. E si dà il caso che l’Alberta e il Saskatchewan, due province occidentali storicamente separatiste, costituiscano quasi esattamente il dieci per cento della popolazione del Paese. In comune hanno il paesaggio (pianure, monti, laghi, fiumi, foreste, ranch di bisonti e orsi grizzly), l’assenza di un accesso al mare, una popolazione nettamente anglofona e, soprattutto, gli idrocarburi: le industrie del petrolio e del gas naturale sono il pilastro delle loro economie e, di conseguenza, di quella dell’intero Stato.

Nel 2023, l’Alberta ha generato il 15% del pil nazionale: le esportazioni sono garanzia di ricchezza per la popolazione locale, che registra un pil pro capite di 73mila dollari contro una media nazionale di 53.400. I dazi sono certamente la principale minaccia al benessere dei territori: l’Alberta, chiamato il Texas del Canada, fornisce il 56% di tutte le importazioni di petrolio degli Stati Uniti, il doppio di Arabia Saudita, Messico e Iraq messi insieme (percentuale che non sfugge alla premier della provincia, la leader del Partito conservatore unito Danielle Smith, che già a febbraio era stata fotograta a Mar-a-Lago da Donald Trump). Il Saskatchewan, oltre all’industria petrolifera, vanta anche il primato mondiale per l’export di potassio e uranio, e di là dal confine esporta(va?) merci per 40 miliardi di dollari l’anno. Tuttavia, le radici che fanno dire ai cittadini “let’s join the Usa” (lo slogan si legge su cartelloni pubblicitari affissi lungo l’autostrada), hanno almeno quattro decenni di profondità. E Trump deve averle sondate perchè, in una conferenza stampa nello Studio Ovale del 26 febbraio, ha dichiarato che la sua campagna per trasformare il Canada nel “nostro caro e bellissimo 51esimo Stato” potrebbe passare proprio attraverso l’Alberta e il Saskatchewan. All’inizio degli anni ‘80, il primo ministro Pierre Trudeau, padre di Justin e più vicino a Fidel Castro che a Nixon, iniziò a ridistribuire i profitti dell’industria petrolifera dell’Alberta al resto della nazione, in particolare al Quebec francofono e all’Ontario liberale. Fu allora che nacque il primo movimento separatista della provincia, il Western Canada Concept: il consenso fu tale che il leader del partito, Gordon Kesler, arrivò a sedersi nell’assemblea della provincia. Nel 2015, inoltre, con l’arrivo del “governatore”, come appella l’ex tycoon Justin Trudeau, sono cominciate anche le politiche green, il totem delle emissioni zero e, quindi, una carbon tax che ha fatto infuriare gli elettori. Secondo Pierre Poilievre, il leader del Partito conservatore che sta tallonando i liberali di Mark Carney nei sondaggi, il valore totale dei 15 progetti di oleodotti bloccati tra il 2015 e il 2020 ammonta a 121 miliardi di dollari. La rabbia è rappresentata dal movimento “Wexit” (sulla scia della Brexit e s’intende l’uscita del Canada occidentale), rinominato movimento del “51esimo Stato” con l’arrivo di Trump.

Vogliono tasse più basse e, per farlo, dicono, è ora di smetterla con la perequazione: a Ottawa non deve più arrivare neanche un centesimo. Anche perchè la Camera alta del Parlamento canadese, cioè il Senato, non è eletta, ma nominata dal partito al governo. Manca quindi quel sistema di “pesi e contrappesi” americano, dicono i separatisti, che conferisce rappresentanza a ogni stato federale, sia esso urbano e densamente abitato o rurale e poco popoloso. Ciò ha consentito a Trudeau di non preoccuparsi degli abitanti dell’Alberta perchè poteva contare sui voti di Ontario e Quebec. La tassa sul carbonio? È “taxation without representation”, sostengono, tassazione senza rappresentanza, slogan sul quale le colonie americane costruirono l’indipendenza dal Regno di Gran Bretagna. Anche nelle due province, infine, la popolazione affronta l’insicurezza: preoccupano l’immigrazione e le incursioni a nord di Russia e Cina (l’esercito canadese conta 63mila militari per oltre 10 milioni di km quadrati di territorio, i soldati americani sono un milione e 300mila). Oltre ogni immaginazione, il fascino di stelle e strisce non irretisce solo i lavoratori del Canada Occidentale, ma anche i giovani: secondo un sondaggio di Abacus Data pubblicato dal Financial Times, se tra i cittadini over45 l’80% si oppone all’annessione, solo il 54% della fascia 18-29 si dice contrario e il 26%, ovvero un giovane su quattro, dice di essere aperto a esplorare un’unione. Per un Paese tenuto insieme dalla noia, scriveva Mordecai Richler del suo Canada, e con un cultura nazionale tanto inconsistente da non essere certo di averne una, la verità è “che il nostro più grande desiderio è essere americani”. E ancora non si parlava né di dazi né di perequazione.

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