Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali con un mandato chiaro degli elettori: controllare l’inflazione e aumentare il reddito degli americani. Sta realizzando questo piano? No, perché si è concentrato in un forcing sui dazi che è un ciclopico azzardo, la Casa Bianca vuole riprogrammare la macchina del commercio mondiale e non si può fare senza provocare uno shock nel sistema. Trump e i suoi consiglieri hanno tirato dritto, pensano che il gioco alla fine girerà a vantaggio dll’America, la domanda è per quanto tempo potrà reggere la tensione economico -finanziaria. Ieri sono arrivate alcune indicazioni utili per leggere lo scenario: i dati del Prodotto interno lordo del primo trimestre in America sono negativi (-0,3%) ma attenzione, l’economia degli Stati Uniti in realtà è (per ora) in buona salute, perché il rosso della produzione è stato innescato da un esponenziale aumento delle importazioni (+41,3%) e da un rallentamento della spesa federale.
La differenza tra esportazioni (beni prodotti in America) e importazioni (beni consumati in America ma prodotti all’estero) ha buttato giù i conti di un’economia che va bene. Cosa è successo? Gli americani hanno anticipato l’effetto dei dazi sui prezzi con una valanga di acquisti di beni dall’estero che sono costati quasi 5 punti di Pil in meno. Il dato ha una lettura doppia: le aziende sono reattive e gli Americani continuano a consumare; ma il contropiede per evitare l’effetto dei dazi in arrivo è una spia rossa accesa nello Studio Ovale.
Trump finora ha fatto il gioco dell’elastico, il suo è un continuo “stop and go” sui dazi che ha provocato un pazzo “boom e sboom” di Wall Street. Il suo obiettivo è la Cina, non bisogna mai dimenticarlo, e a Pechino non stanno allegri, il traffico portuale è crollato, le dimensioni delle navi porta container sono ridotte di un terzo rispetto a poche settimane fa, questo significa che anche Xi Jinping ha un problema e per risolverlo dovrà parlare con Trump oppure provare a resistere in una gara contro il tempo che scorre inesorabilmente per tutti. Questo aspetto non va mai dimenticato, è vero che Trump sta rallentando l’economia americana ma contemporaneamente sta aprendo una serie di problemi giganteschi al suo principale competitor. La vera domanda è se è più attrezzata la democrazia americana o la dittatura cinese ad affrontare questo scenario di guerra.
Il quadro per l’Europa e per l’Italia (che ricordo è un paese trasformatore e esportatore) impone di guardare a quel che fa la Casa Bianca con realismo e non con la retorica o, peggio, con l’infantilismo che continua a regnare nel dibattito giornalistico e politico. Ogni mossa di Trump fa parte di un negoziato continuo, egli sa bene che rischia grosso, che può giocarsi anche il risultato delle elezioni di midterm ma la sua prospettiva è diversa rispetto a quella di Biden odi Obama, i quali hanno applicato una politica protezionista al pari di Trump, ma con un mix di strumenti che l’hanno fatta passare con meno clamore sui media, il risultato però è stato sempre quello di frenare l’Europa, mentre alle imprese americane veniva concesso di delocalizzare la produzione.
Questo gioco è in parte finito, perché gli Stati Uniti di fatto stanno vendendo il proprio paese a forze straniere (leggere alla voce Cina) con un perverso meccanismo di deficit commerciale cronico e debito alle stelle. Trump è un realista, sa che il tempo non è infinito dunque vedremo altri aggiustamenti della sua azione politica, mentre quello che non si vede è un piano dell’Europa, dove tutti continuano ad andare in ordine sparso, non solo nell’economia ma anche sulla guerra e i due temi in fondo sono intrecciati l’uno con l’altro perché gli attori sono sempre gli stessi. C’è chi si dispera e pensa che Trump sia una sciagura, ma è semplicemente il volto dell’America, quello che gli intelligenti a prescindere non vedono è tutto nelle parole di Winston Churchill: «Le guerre dei popoli saranno più terribili di quelle dei re».