A sinistra il rospo polacco è andato di traverso e pur di sputarlo fuori, si può sputare di tutto contro Karol Nawrocki che ha scompaginato nelle urne i piani di Donald Tusk di riallineamento di Varsavia all’europeismo spinto. Gli elettori, secondo il pensiero radical chic, avrebbero mandato sulla poltrona della Presidenza della Repubblica addirittura uno di famiglia umile, che ha studiato, si è fatto da sé e – orrore supremo – ha persino lavorato. Mica un raffinato come il rivale sindaco di Varsavia, Rafal Trzaskowski, 6 lingue parlate tra cui l’italiano, dalla parte “giusta” della bilancia politica e con le vele gonfiate dal vento progressista. Un altro vento agita la stampa italiana, spiazzata dal fotofinish e dal sorpasso del neofita che tirava di boxe, cattolico, critico con l’eurocrazia e con l’immigrazione, il quale dovendosi occupare di Polonia pensa che debba essere in cima ai suoi pensieri, e che essendo uno storico un’ideuzza su quello che accade da quelle parti da un bel po’ se l’è fatta eccome. Ieri giornaloni e giornalini hanno dato la squilla su Nawrocki, ridando fiato a illazioni gossippare di quando si guadagnava la pagnotta come addetto alla sicurezza del Gran Hotel di Sopot, con clientela rigorosamente vip, e che ospitò anche un G7, quindi non immune da qualche vizietto più o meno inconfessabile.
Allarme, rosso, sull’europeismo messo a rischio dalla bocciatura della non premiata ditta Tusk-Trzaskowski. E, poi, soprattutto su quel perverso sistema del “terzismo” che segue con attenzione i fatti interni di un Paese, come neanche Putin con i suoi hacker per l’orientamento degli elettorati democratici, cioè quelli che votano veramente, mica come da lui e dal “cugino” bielorusso. Il “terzismo” condizionante è cosa buona e giusta solo se arriva da una precisa parte: un conto è Donald (Tusk) quando faceva rombare il motore spompato di Bruxelles per tirare la volata al suo candidato, un altro The Donald (Trump) che non ha nascosto la sua simpatia per il parvenu al quale la sinistra ha appiccicato ogni possibile etichetta non propriamente edificante.
Insomma il popolo, nel nome del quale ogni politico a parole si spende e ritiene di rappresentare, se va in un’altra direzione è perché non ha capito niente, quindi va guidato. Se scegli l’élitario Trzaskowski vuol dire che guardi avanti, alle città e alle prospettive aperte; se preferisci il populista Nawrocki ti ripieghi all’indietro, sulla tradizione e sulle campagne, e hai il respiro corto. È il pensiero-bonsai, assai snob. La questione – e questo dovrebbe davvero far riflettere l’Europa e i maîtres à penser col ditino all’insù e il pollice verso nei confronti delle disarmonie del loro sistema teorico perfetto e della progettualità artificiale – è che il populismo ha smesso di autoreprimersi ed è uscito allo scoperto, compresa la sua componente anti-élitaria e contro gli schemi sociali e l’intellettualismo. Che in Italia dominano, come insegna la reazione esagitata e in perenne ribollitura per aver dovuto inghiottire il rospo tricolore, ovvero Giorgia Meloni a capo del governo.