"Non è ancora chiaro quando sia stata presa la decisione, ma conoscendo il presidente, credo che volesse evitare l’uso della forza militare. Pensava che con la minaccia della forza militare avrebbe potuto ottenere soluzioni diplomatiche. E pur senza conoscere i dettagli, io presumo che l’intelligence abbia indicato che c’era bisogno di fare questo attacco con urgenza, perché stavano spostando materiale nucleare altrove o perché c’era un cambiamento nella loro postura difensiva... Sono speculazioni. Certo, è possibile che l’annuncio delle due settimane fosse un’operazione psicologica contro gli iraniani, ma sono incline a credere altrimenti".
A dirlo è Alexander B. Gray, studioso del think tank americano Atlantic Council, è stato capo dello staff del Consiglio di sicurezza nazionale nel primo mandato di Trump, durante il raid Usa che uccise il generale iraniano Qassem Soleimani, braccio destro di Khamenei.
In una intervista a Il Corriere della Sera spiega ancora: "Il presidente ha detto sempre due cose e ne hanno ascoltata solo una. Dice da vent’anni che gli Usa non devono essere coinvolti in guerre eterne in Medio Oriente, ma anche che all’Iran non deve essere consentito acquisire un’arma nucleare. Sta cercando di bilanciare questi due aspetti". E ancora: "E' importante quello che americani e iraniani si stanno dicendo dietro le quinte. Credo che molti suoi sostenitori siano preoccupati perché ogni volta che entri in un conflitto simile, subito perdi il controllo degli eventi — non importa se sei la più grande superpotenza mondiale — rinunci a una certa percentuale di capacità d’azione perché poi tocca al tuo rivale".