Offre l’ombrello atomico agli europei nel nome della grandeur e poi toglie l’ombrellone della gita fuori porta ai francesi nel segno del risparmio. Volenterosa in politica estera per mostrare i muscoli e risparmiosa in politica interna per la debolezza nel far quadrare i conti, la Francia si inventa un taglio secco di due festività per sforbiciare il disavanzo, a Pasquetta e 8 maggio.
Et voilà, la riforma è servita dal primo ministro transalpino François Bayrou, non si sa se per mettere una pezza ai piani di riarmo e ai disegni di potenza di Emmanuel Macron o per mettere subito un freno deciso al deficit pubblico che veleggia pericolosamente vicino al 6% e riportarlo al più accettabile 4,6% il prossimo anno. Ricetta semplice: francesi, dovete lavorare di più. Quando? Il Lunedì dell’angelo e il giorno in cui si celebra la resa del Terzo Reich e la vittoria sul nazismo. Via due rossi sul calendario e subito polemiche al calor bianco.
La sinistra difende la Pasquetta, verosimilmente per il suo risvolto laico, la destra la ricorrenza della debellatio della Germania, probabilmente per esaltazione nazionalistica più che per significato storico. Ma che il mondo vada al contrario, ormai, è risaputo. È stato detto senza giri di parole che i francesi attorno a queste feste sono diventati abili a ricamare interconnessioni e ponti, e il costo in termini di produttività è troppo alto. Ma alla parola “ponte”, i cugini cisalpini sono insorti, perché se ci sono esperti mondiali nella progettazione, nella costruzione e nella realizzazione di ponti, con e senza virgolette, quelli sono gli italiani. Ora, proviamo a immaginare qualcosa di simile proprio nel Belpaese, con il governo che chiede di stringere la cinghia, di fare sacrifici e di rinunciare a un paio di festività andando al lavoro: tanto per fare il paio con la Francia, Pasquetta e Liberazione.
Choc nazionale. I vescovi all’attacco per l’ennesimo tentativo di laicizzazione dello Stato, i laici contro la negazione del diritto costituzionale alla grigliata in montagna, i partigiani dell’Anpi che calano dalle montagne con l’insorgente Gianfranco Pagliarulo per difendere la costituzione dalla fascistizzazione della storia, gli storici che rivelano il mistero di come si calcola la Pasqua e la Cgil di Maurizio Landini che nel segno della risurrezione sindacale proclama contro il governo quattro scioperi generali di venerdì con sabato ponte e lunedì festivo. E dopo far partire la concertazione: ti do un 2 giugno per un 25 aprile, ma in cambio della Pasquetta devi darmi qualcosa a Natale, anche un part-time. I francesi, che se la passano maluccio nonostante siano sempre pronti a gonfiare il petto, devono racimolare da qualche parte 43,8 miliardi per il 2026, tra cui i 3,5 che Macron ha vincolato per il riarmo, e poiché nessun pasto è gratis come ammoniva Milton Friedman, o si taglia osi produce di più, o si fanno ambedue le cose. Le lacrime in favore di telecamera della ministra Elsa Fornero, che fecero affogare gli esodati che prima di sperimentare di esserlo non sapevano neppure cosa significasse la parola, sono nulla rispetto alle reazioni stizzite dei francesi, assai facili a farsi saltare la mosca al naso e ben allenati ad alzare le barricate.
A un progetto (!) di aumento del costo dei carburanti si scatenò un’iradiddio che paralizzò l’intero Paese, e l’innalzamento della soglia pensionistica non fu affatto cloroformizzato. I maestrini transalpini hanno vissuto tempi migliori, ma anche se il galletto ha perso molte penne non abbassa mai la cresta. A Parigi un paio di festivi in meno sul calendario valgono circa 5 miliardi di euro, mica bruscolini.
A Roma neppure il papa, Giovanni Paolo II, con il suo «dàmose da fa’» e «volèmose bene», avrebbe potuto andare oltre. In Italia la festa sacrificata alle ragioni del risparmio e con grande gaudio della sinistra, sempre antinazionale con la scusa dell’antinazionalismo, fu il 4 novembre, anniversario della vittoria del 1918, che poi sarebbe (è) la festa dell’Unità nazionale. Saltarono pure San Giuseppe, l’Assunzione, il Corpus Domini e i SS. Pietro e Paolo: festività abolite, certo, ma 48 ore di permessi in contropartita. I francesi sono dilettanti, al confronto.