L’uccisione lo scorso 31 agosto di Abu Obeida, portavoce e capo di comunicatori di Hamas, non ha impedito al gruppo terrorista palestinese di ripartire con una campagna fatta apposta per colpire Israele nel suo nervo più scoperto: gli ostaggi. A far scendere in piazza da mesi migliaia di israeliani contro il governo di Benjamin Netanyahu non sono i pur massacranti turni di richiamo a ripetizione ai quali è sottoposto un esercito fatto in gran parte di riservisti: sulla necessità di sconfiggere Hamas una volta per tutte il consenso è larghissimo. Chi protesta lo fa perché teme che la nuova offensiva contro i terroristi gazawi metta a grave rischio la vita di chi, nel gruppo dei 48 sequestrati, è ancora in vita.
Hamas lo sa e ieri ha diffuso un’immagine dei 48 ostaggi: sotto a ogni volto un numero progressivo e un solo nome: Ron Arad. Un messaggio chiarissimo: poiché ci state attaccando a Gaza City, tutti i sequestrati faranno la fine di Arad, il pilota israeliano che precipitò sorvolando il Libano nel 1986, fu catturato dagli sciiti di Amal alleati di Hezbollah e del quale nessuno ha avuto più notizie dal 1988, tantomeno i resti. Israele si è sempre impegnato per riportare a casa i rapiti ma in tanti sono oggi convinti che, davanti all’alto numero di sequestrati e alle richieste di Hamas, il sesto governo di Benjamin Netanyahu stia imponendo un cambio di paradigma per cui, per la prima volta dal 1948, sconfiggere il nemico viene prima della liberazione degli ostaggi.
Sulla loro sorte c’è grande incertezza: ogni tanto Hamas fa circolare dei brevi video di qualche ostaggio denutrito, ferito, ridotto all’ombra di se stesso. Anche sul numero dei sequestrati ancora in vita c’è molta incertezza: sarebbero 20 su 48 secondo Israele ma venerdì il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha fornito ai giornalisti un quadro decisamente peggiore indicando che quelli morti in prigionia potrebbero essere «da 32 a 38».
Mentre Hamas sparge sale sulle ferite delle famiglie degli ostaggi, Israele mette una volta ancora in luce chi sia il vero nemico dei palestinesi e delle organizzazioni internazionali attive per fornire loro cibo e aiuti. Ieri il Coordinamento israeliano delle attività nei territori (Cogat) ha reso noto che «Hamas ha sparato alle squadre delle Nazioni Unite e ha impedito l’apertura di una nuova rotta umanitaria nel sud della Striscia di Gaza».
L’attacco, scrive il Cogat, è avvenuto durante il lavoro delle Nazioni Unite per aprire una nuova rotta per il movimento di camion da Kerem Shalom all’area umanitaria nel sud della Striscia di Gaza.
«Terroristi armati di Hamas hanno aperto il fuoco contro una squadra delle Nazioni Unite che operava sul sito e li hanno costretti a lasciare l’area di lavoro. I terroristi hanno quindi preso il controllo dei veicoli Onu che hanno usati per posizionare una barriera di sabbia sulla rotta e bloccare il flusso degli aiuti nell'area umanitaria». Una notizia diffusa 24 dopo la denuncia da parte dell’Unicef che «uomini armati» avevano sequestrato dei carichi di latte artificiale destinato a circa 3mila bambini gazawi.
Da parte loro, le Israeli Defense Forces hanno dichiarato di aver continuato l’operazione contro le infrastrutture del terrore a Gaza City nella giornata di sabato. Sabato mattina le autorità libanesi hanno invece denunciato un’operazione di volantinaggio da parte di Israele sopra Kafr Mays al-Jabal nel sud del paese. I volantini in arabo riportano una mappa che mostra diverse località in cui Hezbollah sarebbe di nuovo attiva e in cui si afferma che «i proprietari di immobili stanno mettendo in pericolo le loro famiglie e l’ambiente circostante, attenzione alla cooperazione con Hezbollah e in particolare con la Radwan Force», l’unità di élite del gruppo sciita.