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Un video svela l’inganno: niente viveri sulla Flotilla

di Claudia Osmettisabato 4 ottobre 2025
Un video svela l’inganno: niente viveri sulla Flotilla

(Video Facebook)

3' di lettura

Ha gli occhiali da sole tirati sulla nuca, indossa la divisa dell’Idf e cammina (tranquillo) per i locali di una delle 44 imbarcazioni della Global sumud flotilla fermate al largo di Gaza: dura pochi minuti il video del soldato (condiviso sui social dal ministero degli Esteri di Gerusalemme: quindi ufficiale che più ufficiale non si può) che sbugiarda un mese di navigazione “umanitaria” degli attivisti internazionali propal. «Sono dentro una delle barche», spiega, senza urlare, senza far cagnara, in un giorno che per lui è pure di festa perché è Kippur, «per giunta una di quelle più grandi: ma qui non c’è niente, è praticamente tutto vuoto. Cosa avrebbero portato nella Striscia?».

Gira lo smartphone e inquadra diversi ambienti, c’è un tavolo, c’è una colonna, ci sono dei sacchetti di plastica per terra. Fine. Se non che la domanda resta lì, appesa nelle condivisioni della rete (poche, per carità: i video che girano tra gli utenti, al giorno d’oggi, son più quelli che incitano alla rivolta, bruciate-tutto, i pianti di Elisa e-allora-sfamateli-voi, i frame che “inchioderebbero” le forze armate dello Stato ebraico a presunte violazioni del diritto internazionale; i filmati dell’altra parte, quelli che provano a fare chiarezza, che ci mettono un punto, non li vede mai nessuno): è un po’ retorico e un po’ previsto, ’sto benedetto dilemma (ma-tutto-ciò-per-cosa?) nel senso che era chiaro a chiunque, fin da prima di mercoledì sera, che la veleggiata verso Gaza con Gaza c’entrava ni, politicamente sì, solidalmente assai meno. Questa è la prova provata.

Lo sa bene chi ha navigato almeno una volta in vita sua: una barca a vela tra i dodici e i quindici metri (che è più o meno lo standard della Flotilla) non ha una capacità di stiva illimitata. Riesce a trasportare scorte che servono giusto al suo equipaggio, specie se il suo equipaggio è un mese che sta a mollo nel Mediterraneo (senza cellulare ma col wi-fi connesso giorno e notte). «Allo stato attuale», conferma l’ambasciatore israeliano in Italia Jonathan Peled, «le imbarcazioni fermate e controllate trasportavano una quantità di aiuti umanitari inferiore rispetto a quella contenuta in un singolo camion. Un numero irrisorio rispetto agli oltre 1.500 convoglio entrati solo nell’ultima settimana a Gaza attraverso i canali ufficiali», cioè attraverso la porta aperta di Israele.


Eccoci qua. Dice il rapporto di Unops, ossia dell’Ufficio dell’Onu per i servizi ai progetti, quella stessa Onu che quando serve per condannare i “crimini” di Israele va bene e quando invece ammette che la maggior parte dei convogli destinati ai palestinesi finisce nelle mani di Hamas che li usa per alzare i prezzi al mercato nero anche del 500% non se la fila più anima viva, che dal 19 maggio di quest’anno a ieri i tir che hanno varcato il confine di Erez sono stati 6.160, che hanno trasportato qualcosa come 107.520.845 tonnellate di merce, in massima parte di generi alimentari ma anche di presidi sanitari e di carburante e di bestiame. Lo hanno fatto senza troppi spot mediatici (anzi, nel quasi totale disinteresse della stampa mainstream occidentale: tra parentesi, quando mai s’è visto un Paese “occupante” che manda aiuti ai propri “occupati”?) e col dito puntato contro da molte organizzazioni internazionali. La Flotilla, invece, ha pianto miseria fin dal principio: una mano tesa ai gazawi, la lacrima propal in diretta streaming, ripresa, riproposta praticamente da ogni tigì (in Italia), la corsa a sfamare i bimbi di Jabalia, facendo magari presa su chi, in buona fede, ci ha creduto, e adesso salta fuori che ha portato più visualizzazioni su Facebook a chine ha parlato che derrate alimentari a chi leggeva della sua spedizione. Va così, è la grande bufala della narrazione palestinista di oggi: piazze piene ma barche vuote.

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