Anche se critichiamo il riscaldamento globale, alla lunga anche a Libero ci siamo affezionati a questa mattana millenaristica: «convertitevi (alle rinnovabili), la fine del mondo è vicina!». Pertanto, quando leggiamo che qualcuno accusa i cambiamenti climatici di fenomeni disgustosi, ci ribelliamo. Giù le mani dall’effetto serra. Per esempio: uno studio della Richmond University di Toronto, pubblicato a inizio anno su Science Advances, ha analizzato l’evoluzione della popolazione di topi in 16 città mondiali nell'arco di oltre un decennio. Risultato: l'attività e il numero di ratti sono aumentati significativamente in 11 di queste città. «Niente paura cara. È soltanto un topo. Un lurido, schifoso ratto», diceva Gene Wilder in “Frankenstein Junior”. Come si osa accostare il fetido mammifero agli effetti della nobile CO2? Gli esperti non riescono a fermare la diffusione dei voraci roditori la cui presenza record in posti come New York, Londra e San Francisco sarebbe dovuta all’urbanizzazione, alla resistenza ai veleni ma soprattutto al riscaldamento del pianeta. A Washington DC la popolazione di topi in un decennio è quasi quadruplicata (+390%), a San Francisco si registra un aumento del 300% rispetto a dieci anni fa e a New York la crescita è stata del 162%.
Gli scienziati canadesi hanno stabilito una correlazione fra il numero dei simpatici animali amanti delle fogne e l’aumento della densità abitativa e l’innalzamento delle temperature medie. Una correlazione appunto. Ma a guardare più a fondo la questione, una spiegazione ben più inquietante emerge. Le 16 realtà urbane prese in considerazione sono state: Washington D.C., San Francisco, Toronto, New York City e Amsterdam (le cinque peggiori); a metà classifica si sono posizionate Buffalo, Chicago, Boston, Kansas City e Cincinnati. Le città con meno topi risultano invece Tokyo, Louisville, Dallas, New Orleans e Saint Louis. Sono città dove si sta meno stretti o in cui ha fatto più fresco? Sarà, ma non è possibile che lì la derattizzazione funzioni meglio? In particolare, le 11 peggiori hanno in comune il fatto di essere amministrate dalla sinistra. I democratici controllano tutte le metropoli Usa in lista, Toronto è guidata da Olivia Chow, indipendente ex New Democrat (centro-sinistra) mentre ad Amsterdam c’è Femke Halsema, ecologista di GroenLinks (una specie di SEL). La cosa non dovrebbe stupire più di tanto: anche in Italia, la Roma del sindaco Gualtieri è un buon esempio, con la sua colonia di milioni di ratti ben pasciuti grazie ai rifiuti, senza contare che l’appalto per la derattizzazione è rimasto fermo per anni. Ci sono sindaci progressisti anche fra chi ha avuto le prestazioni migliori ma solo qui troviamo due amministrazioni di segno decisamente diverso: Tokyo, ad esempio, è il regno della signora Yuriko Koike. La governatrice della capitale oggi non ha affiliazioni ai maggiori partiti del Paese ma è una figura leggendaria: 73 anni, più volte ministro, da quasi dieci gestisce la metropoli nipponica.
Liberista in economia è però attenta alle politiche ecologista; è filoaraba (si è persino laureata al Cairo) per garantire al Paese del Sol Levante il petrolio a prezzi competitivi. Ma soprattutto è ultranazionalista, militarista e bestia nera dei democratici (l’eterna opposizione di sinistra giapponese), di Cina e Corea. Di destra è anche il primo cittadino di Dallas. Eric Johnson a dire il vero era un Dem fino al 2023 quando venne fulminato da Trump sulla via di Damasco. Da allora è il membro del GOP che amministra la realtà più grande: la metropoli del Texas settentrionale è infatti il nono agglomerato urbano del Paese. La cosa è comprensibile: più la città è grande e più è probabile che voti a sinistra; va così in America ma anche in Europa, Italia compresa. Perché? Di solito le risposte chiamano in causa la maggior scolarizzazione, gli stipendi più elevati, l’apertura mentale eccetera di chi vive in città rispetto ai campagnoli o ai provinciali. Nessuno finora aveva pensato alla risposta scientificamente più fondata: la sinistra vince dove sorci e pantegane vivono meglio.