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Ecco perché Trump merita il Nobel per la Pace

Usciamo un attimo dal teatrino flottigliesco nostrano, e andiamo al cuore della contemporaneità: perché Donald Trump merita il Premio Nobel per la Pace.
di Giovanni Sallustidomenica 5 ottobre 2025
Ecco perché Trump merita il Nobel per la Pace

(Ansa)

3' di lettura

Usciamo un attimo dal teatrino flottigliesco nostrano, e andiamo al cuore della contemporaneità: perché Donald Trump merita il Premio Nobel per la Pace. Sissignore, e il commento è anzitutto nella cronaca. Hamas dice sì all’accordo (cadenzato nei tempi e articolato in 20 punti, non sospiri da anime belle, politica nella sua veste più dura e onnicomprensiva, geopolitica), seppur con singoli distinguo tecnici che sono da ieri sera la trama da tessere in Egitto. Ma questa è già materia a valle, da operativi del negoziato. A monte, c’è il tornante storico: un movimento islamista terrorista converge sulla pace scolpita dal Grande Satana americano e presentata insieme allo Stato degli ebrei. È la rivoluzione pacifica del Medio Oriente, a più livelli. Anzitutto, signica la pace tra israeliani e palestinesi, quel miraggio ultradecennale inseguito da una sfilza di presidenti pettinati, “competenti” e fallimentari (compreso quel tizio a cui venne dato il Nobel sulla fiducia, tradita).


Più profondamente, significa ridisegno complessivo dell’area, con la marginalizzazione finale dello Stato destabilizzatore ed esportatore di terrorismo, l’Iran degli ayatollah, e l’ufficilizzazione della cooperazione tra Israele e il mondo arabo-sunnita (di cui Hamas ha accettato la presenza di garanzia nella Striscia), con ampliamento e sistematizzazione di fatto degli Accordi di Abramo. Per inciso ma non troppo, la road map trumpiana prevede infine il passaggio della governance a un’Autorità Nazionale Palestinese finalmente riformata e in grado di assicurare l’autodeterminazione del proprio popolo (da sempre la meta indicata da quei progressisti globali che oggi si scoprono balbettanti). Oggettivamente, un capolavoro: se Obama ebbe il succitato Premio aprioristico, qui ci sarebbe materiale per tre edizioni di fila. Ci sono poi le sei guerre, i sei focolai bellici spenti da Trump, su cui il mainstream flottigliesco fa molta ironia, ma che per i civili che non vengono più macellati sono roba felicemente seria. Armenia/Azerbaigian: accordo di pace firmato alla Casa Bianca, cessazione di un conflitto che in varie forme si trascinava dalla fine degli anni‘80, i leader dei due Paesi che candidano congiuntamente The Donald al Nobel. India/Pakistan: «Cessate il fuoco completo e immediato» annunciato da Trump a pochi metri dalla collisione definitiva tra due rivali strategici, entrambi dotati di atomica. Repubblica Democratica del Congo/Ruanda: guerra con crisi umanitaria permanente che non ha mai commosso le anime belle flottigliesche ma ha devastato le popolazioni, risolta con un accordo firmato alla Casa Bianca. Cambogia/Thailandia: cessate il fuoco incondizionato raggiunto dopo reiterate pressioni di Trump, leva commerciale compresa. Egitto/Etiopia: qui il presidente americano parla, con non poche ragioni, di guerra evitata, poiché senza la sua mediazione la tensione attorno alla diga etiope Gerd sul Nilo sarebbe molto probabilmente deflagrata.

C’è poi, per tornare al calderone mediorientale, la guerra dei 12 giorni, la tregua mediata e raggiunta tra Israele e Iran sull’orlo del precipizio, previo bombardamento americano che ha annichilito la capacità nucleare di Teheran. E raramente bombe furono più preziose perla pace: impedire che una teocrazia totalitaria e antisemita che ha come piattaforma millenaristica la cancellazione dell’“entità sionista” dalla carta geografica e l’esportazione della jihad universale si doti della bomba atomica varrebbe già di per sé il Nobel, in un mondo ordinato, non flottigliesco, ancorato al principio di realtà. Ed è proprio la postura “realista”, riconosciuta e lodata anche da Papa Leone XIV (con grande scorno dei reducisti ultrabergogliani), il filo conduttore dell’approccio trumpiano alle guerre e alla loro risoluzione. Stare nella cornice del Deal, individuare il punto di caduta e far valere tutta la deterrenza americana. Pace attraverso la forza, il contrario del pacifismo parolaio e spesso di sponda ai tagliagole, la ragione di un Nobel che ormai si può non dare solo per un motivo: l’ideologia.