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Reddito di cittadinanza "anche agli immigrati": l'ordine della Ue

Francesco Specchia
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Meno male che tra un po’ – direbbe qualcuno- la pacchia è finita. Meno male che il reddito di cittadinanza, nella sua versione più sghemba, declinerà verso il suo esaurimento naturale, per accendere la palingenesi del mercato del lavoro (dopo, forse, in un probabile fondo “di inclusione e libertà”).

Meno male che la misura di sostegno insufflata nel 2018 nelle pieghe dello Stato da M5S e Lega dal 2024 sarà abrogata. Meno male. Perché ci mancava soltanto la procedura d’infrazione della Commissione Europea per discriminazione. Secondo la Ue, infatti, oggi, il reddito di cittadinanza con il requisito dei 10 anni di residenza non sarebbe in linea con il diritto Ue in materia di libera circolazione dei lavoratori. Le prestazioni di assistenza sociale come il «reddito di cittadinanza» verga infatti la Commissione in una nota spietata «dovrebbero essere pienamente accessibili ai cittadini dell’Ue che sono lavoratori subordinati, autonomi o che hanno perso il lavoro, indipendentemente dalla loro storia di residenza».

 

SENZA REQUISITI
Ma, in quest’ottica, «il requisito della residenza potrebbe impedire agli italiani di trasferirsi per lavoro fuori dal Paese, in quanto non avrebbero diritto al reddito minimo al rientro in Italia». E qui si cita bellamente il Regolamento 2011/492 e, a vario titolo, la Direttiva 2004/38/CE: questi fatti inerenti al mitico Rdc rappresenterebbero inoppugnabili violazioni del diritto comunitario. Roba complicatissima. Ma si capisce benissimo che i benefici economici della discussa misura contiana - che tanti voti portò ai grillini e tanti lutti addusse agli achei- dovrebbero essere estesi a cittadini comunitari che non lavorano per altri motivi, con la sola condizione che «risiedano legalmente in Italia da più di 3 mesi».

Il requisito della residenza in Italia da una decina d’anni «si qualifica come discriminazione indiretta», prosegue, sempre con girandole tecniche, la Commissione. Il regime italiano di reddito minimo, infine, discriminerebbe direttamente i beneficiari di protezione internazionale, che non possono beneficiarne. Ergo. Il reddito avrebbe dovuto essere un’innaffiata a pioggia, stile Helicopter Money, insomma: un appannaggio economico interpretato in senso ecumenico, distribuito a cani e porci, italiani e soprattutto migranti. Ma la questione di raffinata lana caprina giuridica toccherebbe pure il diritto internazionale umanitario: i beneficiari - con la norma attuale di protezione internazionale non possono ottenere il reddito grillino. E questo rappresenterebbe «una scelta in violazione della direttiva 2011/95/Ue».

Il bello è che tutto ciò -arabesco del Fato - avviene nel giorno in cui il Presidente Inps Pasquale Tridico dichiara che circa 11 miliardi di prestazioni Rdc non sono state erogate «perché abbiamo verificato che coloro che facevano domanda non avevano diritto. Abbiamo un tasso di rigetto delle domande del 32% l’anno». Avvisare Ue, please. Epperò, c’è anche dell’altro.

 

Contemporaneamente, tanto per non farci mancare nulla, Palazzo Berlaymont ha acceso una procedura d’infrazione diretta a Roma per l’assegno unico potenzialmente discriminatorio. L’assegno fu introdotto nel marzo 2022 dal governo Draghi; era rivolto alle famiglie per contribuire il mantenimento dei figli a carico. Secondo la norma possono beneficiarne solo le persone che risiedono da almeno 2 anni in Italia, e solo se risiedono nello stesso nucleo famigliare dei loro figli.

La Gazzetta del Sud, afferma che da marzo a dicembre sono stati «erogati alle famiglie assegni per 12,9 miliardi. La spesa relativa ai nuclei non percettori di reddito di cittadinanza risulta pari a 12,3 miliardi, con 5,7 milioni di richiedenti e 9,1 milioni di figli beneficiari di almeno una mensilità; gli importi medi mensili sono risultati pari a 233 euro per richiedente e a 146 euro per figlio». La suddetta contestazione starebbe nella «libera circolazione delle lavoratori che fanno riferimento all’Articolo 45 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue e al già citato Regolamento 2011/492 invocato anche contro il reddito di cittadinanza». Insomma: ecco due mazzate e nuove ingerenze europee. E proprio in un momento in cui il diapason della solidarietà Ue avrebbe dovrebbe segnare la distensione.

DUE MESI DI TEMPO
Quindi ora che si fa? L’Italia ha due mesi di tempo per rispondere alle preoccupazioni sollevate dalla Commissione. In caso contrario, la Commissione può decidere di inviare un parere motivato. Nulla di nuovo, per carità. Risponderemo e ribatteremo a colpi di pandette. Con le procedure d’infrazione ci abbiamo fatto un callo storico, ci siamo quasi abituati. Passerà anche questa. Meno male...

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