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Europa, altra stangata: patto di stabilità, come stanno per fregare l'Italia

Michele Zaccardi
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Giorgetti lo ha detto lunedì: «Spero che non torni in vigore dal 2024 il Patto di Stabilità». Un auspicio che, però, rimarrà senza effetto: la moratoria scade a fine anno, e non c’è nessuna intenzione di prorogarla. Il problema è che, anche se dovesse venire approvata in tempo utile, la riforma delle regole fiscali europee sarà applicata a partire dal 2025. «L’adozione entro la fine del 2023 (del nuovo Patto, ndr) consentirebbe agli Stati membri e alla Commissione di discutere i progetti di piani (per i prossimi anni, ndr) nella prima metà del 2024», spiega a Libero un portavoce di Bruxelles. Nel frattempo, tornerà in vigore il Patto di Stabilità, seppure in versione ammorbidita.

 

 

 

Ma con una postilla: l’anno prossimo la Commissione potrà far scattare una procedura di infrazione se i bilanci del 2023 sforeranno il limite del 3% del rapporto deficit-Pil. E questo a prescindere dal rispetto delle raccomandazioni sui conti redatte dalla stessa Commissione in primavera. Ovviamente, nel mirino finirà l’Italia che dovrebbe chiudere l’anno in corso con un disavanzo del 4,5%, ben al di sopra della soglia. Certo, i Paesi Ue non in regola con il tetto del 3% sono ben quattordici e difficilmente Bruxelles andrà fino in fondo. Ma è anche difficile pensare che, una volta tornati in auge i vecchi vincoli, si decida di ignorarli.

 

LE NORME

«Nella primavera del 2024» sottolinea il portavoce dell’esecutivo comunitario, «la Commissione proporrà al Consiglio di avviare procedure per disavanzi eccessivi basate sui dati di risultato per il 2023, in linea con le disposizioni giuridiche esistenti». Stando alla lettera dei Trattati Ue (articolo 126 paragrafo 3), le richieste di aprire i procedimenti di infrazione «si baseranno sul superamento della soglia di disavanzo del 3% del Pil fissata dal trattato e non sulla valutazione da parte della Commissione del rispetto delle raccomandazioni fiscali specifiche per Paese». «Gli Stati membri» aggiunge il portavoce, «dovrebbero tenerne conto nell’esecuzione del bilancio 2023 e nella preparazione del documento programmatico di bilancio per il 2024».

 

 

 

 

Si spiegano anche così, dunque, le preoccupazioni espresse nei giorni scorsi da Giorgetti e dal ministro per gli Affari Ue, Raffaele Fitto, sul ritorno in vigore del Patto di Stabilità. Anche perché questo rende più complicato il percorso che porta alla manovra finanziaria. E se l’apertura di un provvedimento di censura sulla Legge di bilancio da parte della Commissione pare un’ipotesi remota, è anche vero che è sempre meglio evitare una reprimenda formale.

Per la manovra, i paletti entro cui dovrà muoversi il governo sono quelli fissati dalle “Raccomandazioni specifiche per Paese” adottate dal Consiglio Ue il14 luglio scorso. Il provvedimento, una sorta di regime transitorio tra il vecchio Patto e la sua revisione, si concentra sulla crescita della spesa primaria netta (un parametro che esclude entrate e uscite discrezionali, gli interessi sul debito e i fondi Ue) che per l’Italia non deve superare l’1,3%. Per questo, la Commissione chiede al nostro Paese un aggiustamento del saldo di bilancio strutturale (al netto di ciclo economico e misure una tantum) dello 0,7% del Pil, circa 14 miliardi di euro. Sul punto, va detto, l’approccio dell’esecutivo è stato estremamente prudente. Il Documento di Economia e Finanza della primavera scorsa stabilisce una correzione del deficit strutturale dello 0,9% per il 2024, garantendo così un margine dello 0,2%.

 

 

 

PREVISIONI

Una cautela che ha ricevuto anche il placet dell’Ufficio parlamentare di bilancio, che ad agosto ha confermato che per l’Italia «è prevista una crescita della spesa primaria netta» pari allo 0,8%, «compatibile con l’aggiustamento di bilancio di 0,7 punti percentuali di Pil». Tuttavia, il rallentamento dell’economia in atto, se confermato anche dalle stime che la Commissione pubblicherà l’11 settembre, potrebbe pesare sui risicati saldi di bilancio. E rendere molto complesso il rispetto delle raccomandazioni comunitarie. Senza contare che non è affatto scontato che la riforma del Patto, con i negoziati che ripartiranno a settembre, verrà approvata nella versione proposta dalla Commissione. Il rischio è che i Paesi del Nord Europa facciano pressioni per rendere la disciplina di bilancio più rigida. Oltre a un aggiustamento dello 0,5% per chi sfora il parametro del 3%, suggerito da Bruxelles, la Germania chiede un taglio dell’1% annuo del debito. La strada, insomma, è in salita. E l’Italia dovrà percorrerla con la minaccia di una procedura di infrazione pronta a scattare. 

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