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Europa, tra pace e guerra rispunta la retorica senza identità

Gianluigi Paragone
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Grazie all’Europa non avremo più guerre». Per decenni ci avevano raccontato che l’Unione avrebbe garantito quella pace rotta nel secolo breve dai due tragici conflitti, mondiali sì ma col baricentro nel Vecchio Continente. Qualcuno addirittura s’era spinto oltre ipotizzando che con la moneta unica, l’euro, non ci sarebbe stato più interesse a muovere guerre. Onestamente non ho mai capito quale potesse essere la ragione logica di tale sillogismo, cosa potesse tenere in equilibrio una equazione gonfiata da tanta retorica. Nel suo Euro - Come una moneta comune minaccia il futuro dell’Europa il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz contestò il punto affermando « che non si potesse sostenere una siffatta tesi ed escludere a priori quell’altra.

Infatti dopo decenni di propaganda europeista e di massicce dosi di doping irenico, l’Europa deve fare i conti con una guerra a est (ma che può aprire il compasso in quella che un tempo avremmo chiamato la Mitteleuropa, e Dio non voglia), e un’altra che insiste ancora una volta in quell’area incandescente del Mediterraneo mediorientale. In più, c’è sempre quella zona balcanica che ribolle di sentimenti identitari e nazionalisti e che potrebbe saldarsi con l’aria che soffia da Mosca.

 



IL GRIDO DEL PAPA
La Storia ci ripresenta il solito conto, che per un artifizio retorico pensavamo di poter esorcizzare o addomesticare: insomma non era vero che superando i confini, tessendo la trama dei trattati e soprattutto coniando una moneta comune, avremmo tenuto fuori dalla porta la minaccia dei conflitti. L’idea dell’esercito comune e di una difesa comune era di là da venire, tanto “in là” da non volerne parlare. Ora, invece, il tema della difesa e dell’esercito comune diventa grammatica quotidiana a uso e consumo di una campagna elettorale per il rinnovo del parlamento europeo e su cui gli animi dei cittadini stentano a scaldarsi. Perché del resto oggi la gente dovrebbe volere un esercito comune da impiegare in una guerra che non si vuole e che anzi si vorrebbe addirittura spegnere?

In quell’Europa che rinnegò le proprie radici giudaico-cristiane o ebbe paura di sancirle nella sua magna charta, tocca a un papa - Francesco - gridare l’importanza della pace, scuoterci dall’idea che la pace sia un diritto incluso nel pacchetto; e lo fa con la consapevolezza che, alle condizioni attuali, si deve persino accettare l’ingiustizia e la asimmetrica della mediazione stessa. È la stessa sfida che, agli inizi del nuovo secolo, impegnava un altro pontefice (Benedetto XVI) nel richiamare la profondità delle radici cristiane in tempi di relativismo. Siamo sempre lì, non ci siamo mossi di un centimetro sebbene pensiamo che il Tempo abbia preso un’altra velocità. Si parla di Difesa e di esercito europeo senza che ci sia il presupposto politico di dove poggerebbe questo esercito: a quale idea di Europa dovrebbe servire questo esercito? E soprattutto non ci può essere nessun esercito quando non sei in grado di pesarti come Potenza. Ecco perché la mediazione in Ucraina e a Gaza passerà ancora dal ruolo degli Stati Uniti. Per colpa della nostra stupida retorica. 

 

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