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Nicolas Schmit, il socialista signor nessuno che non andrà mai al vertice dell'Ue

Daniel Mosseri
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Alzi la mano chi conosce Nicolas Schmit. Alla vigilia del voto per il rinnovo del Parlamento europeo il suo nome dovrebbe essere sulla bocca di tutti quale candidato di punta del Pse, il partito socialista europeo. Qualora la formazione progressista vincesse le elezioni anche di un solo punto, il non più giovanissimo Schmit – è nato nel 1953 – diventerebbe il candidato naturale per la guida della Commissione europea in sostituzione dellla presidente uscente Ursula von der Leyen del Ppe, il partito popolare.

Ursula e Nicolas invece si conoscono: un po’ perché parlano la stessa lingua, quella di Goethe, anche se lei è tedesca e lui è lussemburghese (e ha studiato in Francia), un po’ perché Schmit è uno dei “ministri” del “governo” uscente von der Leyen. Quando lei a fine 2019 diventa numero uno dell’esecutivo europeo sceglie lui quale commissario per il Lavoro e i diritti sociali. Schmit ha fama di esperto: quantomeno, prima di diventare deputato europeo nel 2019, aveva ricoperto lo stesso incarico in seno al governo del Lussemburgo dal 2009 al 2018. E a Bruxelles opera con diligenza: c’é lui dietro la direttiva sul salario minimo ma soprattutto dietro al programma Sure, lo strumento da 100 miliardi attivato dalla Commissione per dare un aiuto temporaneo ai lavoratori rimasti a casa non perché la pandemia da coronavirus li avessi messi in lockdown ma perché aveva distrutto i loro posti di lavoro.

Poi il 2 marzo, a sorpresa, il Pse incorona Schmit. Al congresso celebrato alla Nuvola di Fuksas a Roma, il quasi 71emme Nicolas diventa Spitzenkandidat a livello continentale. Quel giorno i media tedeschi scrissero: «Non è ancora un volto noto in Germania». Figurarsi negli altri paesi di lingua non tedesca. Di lui, generosa, parlò in quell’occasione Katarina Barley, capolista dei socialdemocratici in Germania (Spd): «Schmit è un diplomatico esperto, una persona che si muove in modo assolutamente sicuro sulla scena internazionale». E che passa anche dal francese all’inglese al tedesco - forse anche al lussemburghese? - con scioltezza, possiamo aggiungere. Ma quello di presidente della Commissione è un posto di leadership politica, non di interpretariato e traduzione. Ciò che si richiede al numero uno del governo dei 27 è di segnare la rotta: l’Europa deve puntare sulle rinnovabili e quali? Quale atteggiamento serve con la Russia? Come regolare i commerci con gli altri blocchi e superpotenze economiche mondiali? Una direzione ma non un percorso perché saranno poi i gruppi politici e i 27 governi a dover trovare un compromesso su ogni punto. Difficile dire cosa pensi il signor Schmit che sfoggia un curriculum inappuntabile – ha anche un dottorato in Economia – e poco più. Eppure il Pse lo ha scelto senza discussione e senza primarie. La ragione? La più plausibile è che i maggiorenti socialisti dei 27 leggano i sondaggi e siano consapevoli che le possibilità di successo sono scarse. Il che non significa che saranno estromessi dal governo comunitario – l’asse Ppe-Pse pare destinato a reggere – ma che alla guida tornerà Ursula o chi per lei; come per esempio il bavarese Manfred Weber noto per la sua inclinazione a guardare anche a destra del Ppe.

Di Schmit si è sentito parlare, in Germania, l’11 maggio fa quando ha accusato Von der Leyen di «opportunismo politico» proprio per non avere escluso a priori alleanze con il gruppo Ecr, quello dei conservatori con, per esempio, Fratelli d’Italia. Il 23 maggio se la prende con Ursula per l’accordo per i rimpatri a cui la Commissione lavora con la Tunisia: «Questa non è l’Europa, questi non sono valori europei, questo è un accordo con una dittatura molto crudele». Il 30 maggio la accusa invece Ursula di non coinvolgere abbastanza i commissari nel processo decisionale, parole già sentire in passato a Bruxelles . Diligente, il buon Schmit ce la mette tutta per prendere le distanze dalla sua datrice di lavoro. Ma la contestazione non è nella sua natura e un recente titolo che Politico gli ha dedicato lo spiega molto bene: «In Nicolas Schmit, Ursula von der Leyen ha uno sfidante o un compagno di corsa?».

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