Il primo conflitto mondiale iniziò nel 1914 con le divise ottocentesche, e nel fango delle trincee divenne la prima guerra meccanizzata e moderna. I biplani del 1939 nell’arco di tre anni furono spazzati via dagli aerei a reazione e poi nel 1945 arrivò pure la bomba atomica. Desert Storm contro Saddam Hussein, nel Golfo, rivelò i nuovi scenari della guerra elettronica e satellitare e dimostrò la schiacciante superiorità tecnologica occidentale sulla dottrina militare sovietica senza confronto diretto. La fantascienza è divenuta da tempo realtà e l’informatica ha superato ogni possibile scenario futuristico ipotizzato ancora negli Anni ’90, quando si intravedeva quello che sarebbe arrivato. Internet, nato a fini militari e reso pubblico perché già obsoleto, ha trasformato tattiche e strategie con un’iperbolica accelerazione dei tempi di elaborazione e di risposta dei computer, e soprattutto degli strumenti. Dieci anni fa la parola drone era nota a pochissime persone, oggi tutti sanno di cosa si tratta: attacco o difesa con mezzi guidati da impulsi elettrici e via etere, annunciati da un ronzio, come in un videogioco, ma dagli esiti letali.
La rivoluzione degli affari militari (Revolution in Military Affairs, Rma) è un’autentica rivoluzione copernicana che ha rifondato tanto la tecnologia dell’industria bellica sempre più specializzata, quanto le dottrine operative e strategiche, rendendo superato un patrimonio di conoscenze e scardinando princìpi consolidati che si ritenevano basilari. L’intelligenza artificiale, poi, è stato lo strappo definitivo, dando un senso anche inquietante alle geniali intuizioni del visionario Karel Capek e ai suoi robot. Nella battaglia urbana a Gaza come nelle pianure ucraine i droni sono stati capaci di cose impensabili, ma pensate e pure realizzate. Ne ha fornito una lucida analisi lo studioso specialista James J. Wirtz nell’articolo Colin Gray, the RMA and the Rise of Drone Warfare, pubblicato su Military Strategy Magazine.
La tecnologia non è assorbente della natura della guerra e dei motivi stessi di un conflitto che, militare nella sua manifestazione, è generato da contrasti politici, ideologici, sociali, economici, e non necessariamente in quest’ordine. La questione che più interessa è che questa rivoluzione si è sviluppata in diversi contesti nazionali con forme diverse e con diversa percezione e ritardi. La Russia putiniana sbandiera la superarma Poseidon, l’Iran denuclearizzato a forza si dimostra sorprendentemente competitivo nei droni, così come la Turchia di Erdogan che gioca al solito su due tavoli. Acclarato che Israele da sempre fa corsa a sé e al momento giusto dimostra di essere puntualmente un passo avanti, dato per scontato che gli Usa devono galoppare per mantenere la leadership mondiale sempre più insidiata dalla Cina che mezzo secolo fa andava in bicicletta e adesso ha riempito il mondo di auto elettriche, la Bella addormentata a dodici stelle è forse il caso che inizi a porsi qualche domanda e possibilmente a darsi qualche risposta.
Sul concetto di riarmo dell’Europa, tra scintille nell’opinione pubblica e cortine fumogene disinformanti, occorre una riflessione che sia in linea con i tempi, o meglio ancora che li anticipi in coerenza con la rivoluzione degli affari militari, il cui costo non è rapportato a fucili che non si usano più e a masse combattenti che il Vecchio continente ritiene moralmente inaccettabili. È però un mito idealistico quello di un esercito più piccolo, più specializzato e meno costoso, perché i costi sono molto maggiori, piccolo non è bello alla prova del campo di battaglia e la specializzazione è irrinunciabile. Tutti aspetti messi a nudo dalla guerra russo-ucraina. Dove i droni vanno a bersaglio chirurgicamente e implacabilmente su tutto quello che si muove e anche su quello che non si muove, sulla terra e nel fango. Dove c’è sempre l’uomo.