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Scajola, chiesti tre anni di carcere per la casa al Colosseo

La procura: carcere e multa di 2 mln di euro per l'appartamento al Colosseo
di Nicoletta Orlandi Posti domenica 12 gennaio 2014

2' di lettura

 Tre anni di reclusione e una multa di due milioni di euro ciascuno: è la richiesta di condanna avanzata dai pm Ilaria Calò e Roberto Felici nei confronti dell’ex ministro Claudio Scajola e dell’imprenditore Diego Anemone, sotto processo davanti al giudice del tribunale Eleonora Santolini con l’accusa di concorso in finanziamento illecito. Secondo l’accusa, è provato che Anemone pagò, tramite l'architetto Angelo Zampolini, parte della somma (circa 1,1 milione di euro su un totale di 1,7) versata il 6 luglio 2004 da Scajola per l’acquisto dell’immobile di via del Fagutale 2, a due passi dal Colosseo, accollandosi poi i lavori di ristrutturazione, almeno fino al 2006, per ulteriori 100mila euro. La difesa di Scajola - "La richiesta dell’accusa è pesante e in contrasto con quanto emerso durante tutto il dibattimento, quando è stata puntualmente dimostrata l'insussistenza dei fatti", è la replica di Scajola in una nota. "Mi sono fatto da parte - puntualizza l'ex ministro - per quasi 4 anni in attesa di chiarezza da parte della magistratura, di cui ho piena fiducia. Attendo quindi con serenità la sentenza del 31 gennaio". Secondo Elisabetta Busuito, avvocato di Scajola, il processo non si sarebbe mai dovuto celebrare perché "è la stessa guardia di finanza, che ha condotto le indagini, a non avere certezza dell'origine della provvista. Non c'è elemento documentale o dichiarativo che consenta di ritenere provato un collegamento certo fra le società del gruppo Anemone e i contanti di cui l’architetto Angelo Zampolini dispone in vista del preliminare d’acquisto e del rogito davanti al notaio".  La vicenda - Nel 2010 la Guardia di Finanza trova traccia di assegni circolari per circa 900.000 euro, tratti da un conto corrente bancario intestato ad un professionista vicino al gruppo presieduto dall'imprenditore romano Diego Anemone (coinvolto in un'inchiesta secondo la quale il gruppo avrebbe ricevuto appalti pubblici dalla Protezione civile quali frutti di corruzione). Interpellate in proposito, le beneficiarie degli assegni hanno affermato di averli ricevuti per la vendita a Scajola di un appartamento a Roma, in Via del Fagutale, davanti al Colosseo. Scajola ha negato queste circostanze ribadendo in più occasioni di aver pagato l'immobile con i 600.000 euro attestati nell'atto notarile e di tasca propria, per i quali ha contratto regolare mutuo. Sotto la pressione di questa vicenda Scajola si è dimesso da ministro motivando la sua decisione con la volontà di difendersi dalle accuse. Nelle spiegazioni della propria estraneità ai fatti Scajola ha dichiarato che, se gli assegni esistono e sono stati riscossi per il pagamento della casa, evidentemente la casa gli è stata pagata "a sua insaputa", frase che verrà poi ripresa numerose volte dalla satira del tempo. Il 29 agosto 2011 la procura di Roma ha aperto un'indagine sull'ex ministro per la vicenda della casa. Il 16 dicembre 2011 si viene a conoscenza che la Procura di Roma ha citato direttamente a giudizio, davanti al tribunale monocratico, l'ex ministro e Anemone. Scajola è processato per finanziamento illecito ad un singolo parlamentare. 

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