Milano, 15 mag. - (Adnkronos) - Affermano di non amare la violenza che pero' "e' inevitabile e necessaria". Lanciano un appello affinche' "i comunisti si organizzino", sollecitano "forze soggettive ad entrare in campo". In altre parole chiedono e rivendicano "la lotta armata per la rivoluzione". E, seguendo un copione gia' visto piu' volte in passato nei processi contro il terrorismo interno, revocano il mandato di fiducia al loro avvocato (lo fanno in due per la precisione,ndr) perche' "non abbiamo nessuna innocenza da rivendicare ma solo di essere militanti impegnati nella costituzione del partito comunista combattente". I dodici imputati del processo milanese sulle nuove Brigate Rosse tornano in aula a Milano, per il processo d'appello bis disposto per loro dalla Cassazione, 'alzano il tiro' nel rivendicare la loro identita' politica e la necessita' di promuovere la "propaganda armata". "Questo e' il momento buono" diceva in mattinata uno dei presunti 'capi' dell'organizzazione, Alfredo Davanzo. Il momento e' buono per la crisi interna e internazionale a cui chi prende la parola fa continuamente riferimento. Sono in tre ad alzarsi in piedi e a leggere a voce alta non uno ma due documenti politici in cui, a parte sottili riferimenti ideologici, gli imputati rivendicano le medesime tematiche. Il primo a parlare e' Vincenzo Sisi: "Parlo come operaio comunista che ha preso le armi" esordisce. "E' dimostrato che solo con la forza e con le armi si possono cambiare le cose". La parola passa rapidamente ad Alfredo Davanzo. "Ci poniamo all'interno del processo solo con manifesti politici. Delle vostre regole non ci interessa. Di fronte alla catastrofe del capitalismo non vediamo altro che la via rivoluzionaria, la lotta del proletariato". (segue)