Pnrr, Tirelli (Lgr): obiettivi vecchi, bisogna aggiornare il Piano
Il termine del 2026 per il completamento delle opere previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza non è realistico. Bisogna arrivare almeno al 2028. Il mondo è completamente cambiato dai giorni in cui è stato approvato il Pnrr ed è necessario di conseguenza riaggiornare milestone e obiettivi».
L'avvocato Alexandro Maria Tirelli, presidente di «Libertà, giustizia, Repubblica», evita la parola «pessimismo» per soffermarsi invece sul termine «pragmatismo». «L'Italia è impegnata su molteplici fronti con un Governo in carica da poco più di un semestre – spiega l'avvocato a Liberoquotidiano.it – per di più in un contesto particolarmente complesso. La guerra in Ucraina, da un lato, e la congiuntura internazionale, dall'altro, stanno modificando profondamente gli assetti geopolitici ed economici internazionali provocando ritardi e disallineamenti per gli obiettivi del Pnrr». Tanto da far sviluppare l'idea di rinegoziare con l'Ue i termini dell'accordo. Ma è possibile questo scenario? Spiega il leader di Lgr: «Mi pare che lo stesso commissario europeo, Paolo Gentiloni, abbia aperto a questa possibilità, consapevole ormai di un percorso obbligato non più praticabile. Certo, sarà possibile farlo eventualmente su una parte minoritaria dei progetti ancora non avviati, circa il 40 per cento, ma è già qualcosa. La road map del Piano va a rilento, e non certo per colpa del Governo». In tale contesto, due anni in più di tempo farebbero comodo. E pare che anche a Roma se ne siano resi conto. «Condivido in parte l'analisi del ministro Raffaele Fitto che ha proposto di spostare i progetti Pnrr “non realizzabili” nei tempi imposti dall'Ue sulla programmazione 2021-2027 della Coesione, che dà tempo fino a dicembre 2029 per la rendicontazione», prosegue Tirelli. «Una idea giusta, ma credo che un anno in più non sia sufficiente rispetto alla deadline originaria del 2026 per il completamento delle opere. Dobbiamo spostare tutto al 2028 con rendicontazione entro il dicembre 2030. Non voglio essere pessimista, ma solo pragmatico». Il rischio però è che l'Ue, sotto le spinte delle forze di sinistra, decida di fare orecchie da mercante.
«La battaglia politica è proprio questa, e purtroppo si tratta di una battaglia politica che il centrodestra dovrà fare da solo perché la sinistra anti italiana non solo non condividerà i motivi della trattativa ma, sono certo, proverà a mettere i bastoni tra le ruote. D'altronde, con un Piano che prevede 110 miliardi di opere pubbliche, l'esplosione dei prezzi delle materie prime incide in maniera profonda su tempi e fattibilità dei lavori. Ricordiamoci che entro il 30 giugno, cioè “domani”, bisogna completare 27 obiettivi. Ce la faremo? Anche qui meglio essere pragmatici che pessimisti». Tra i progetti in coda ci sono la costruzione di nuovi asili nido, l'ampliamento degli studi di Cinecittà e la sperimentazione dell'idrogeno per il trasporto stradale. Giusto o no abbandonarli allora? «Certo che no, ma dobbiamo prendere atto di una cosa: il Pnrr di oggi è figlio di un'epoca storica vicinissima cronologicamente, ma politicamente lontana. Quando il Recovery fund ha preso il via, non c'era la guerra Ucraina e l'Europa stava lentamente riprendendosi dai disastri provocati dal Covid non solo dal punto di vista sanitario ma soprattutto economico. Non si era verificata la gravissima crisi del gas russo e, tutto sommato, le prospettive di ripresa erano legate a fattori endogeni comunitari (il patto di stabilità, il bilancio pluriennale...). Oggi, invece, siamo dipendenti dallo scenario bellico». E ancora: «Il Piano è quindi figlio di una visione del mondo che è stata completamente sorpassata. Per questo, bisogna rivedere alcuni obiettivi, attualmente inutili o comunque poco appetibili, e trattare sui tempi di consegna delle altre opere. La cui progettazione, pianificazione e rendicontazione, peraltro, gravano su Amministrazioni pubbliche sottodimensionate che annaspano nel mare di carte che l'Europa ci impone. L'Italia è un grande Paese, stiamo parlando di una delle nazioni che hanno fondato l'Unione europea. Roma deve essere in grado di utilizzare al meglio i 235 miliardi di euro che, ricordiamolo, non sono certo un regalo di Bruxelles». E, a proposito di Bruxelles, ci sarebbe da chiarire anche il rapporto tra Pnrr e risorse destinate all'ambiente, tema che non riscalda particolarmente i cuori a destra. «Partirei da un presupposto: anche il centrodestra, in cui Lgr idealmente si colloca, deve iniziare a impegnarsi a comprendere più a fondo la questione dell'ambientalismo, che non è certo l'ecovandalismo di Generazione Z o le buffonate di chi getta scodelle di zuppa sui capolavori nei musei o che insozza l'acqua della Barcaccia di Piazza di Spagna; ma il modo in cui riformare e se necessario ricostruire strutture e infrastrutture energetiche in vista di una evidente futura penuria di fonti fossili. Le rinnovabili non sono il Sacro Graal di cui parla la sinistra, ma di sicuro rappresentano – seppur in maniera marginale – una fonte di produzione di energia di cui tener conto e da valorizzare, fermi restando i paletti imposti dalla geofisica, dalla politica e dai vincoli di bilancio. È stato calcolato che il costo di una transizione energetica completa supererebbe i 300 miliardi di euro, cioè un sesto del nostro Pil». L'avvocato Tirelli conclude: «Un azzardo che nessun governo oserebbe non solo tentare, ma nemmeno ipotizzare. L'ambientalismo non è però un tema da lasciare alla sinistra e ai suoi epigoni. Come Lgr, proviamo a caratterizzarci come portatori di un ambientalismo di centrodestra, caratterizzato non dall'ideologia o dal fanatismo ma dal pragmatismo proprio della visione liberale e e umanistica della società».