Casa, se demolire abuso mette a rischio altri immobili si ‘fiscalizza'
Le case hanno un loro Purgatorio. Un luogo dove sono destinate a stazionare senza poter mai essere riconosciute legittime o illegittime tanto da essere demolite. Si chiama Fiscalizzazione.
La cosiddetta fiscalizzazione dell’abuso edilizio consiste in una sanzione (alta) alternativa e derogatoria rispetto a quella primaria e a regime che scaturisce dall’accertamento di un abuso edilizio, consistente nella demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi.
Quando l'ufficio tecnico comunale - anche per non avere eventuali responsabilità rispetto alla stabilità dell'edificio - avverta che la demolizione della parte abusiva non sia possibile senza compromettere in qualche modo la parte assentita, si procede per la via della procedura denominata "fiscalizzazione" dell'immobile. Tradotto significa che l'appartamento - a fronte di una sanzione pecuniaria - non viene riconosciuto legittimo, ma non può neppure essere demolito. In sostanza è 'sospeso' in un limbo dove nessuno può toccare l'immobile abusivo ma nel contempo non si può richiedere una scia, non si possono fare ristrutturazioni, chiedere agevolazioni, etc.
La misura alternativa della fiscalizzazione a seguito dell’accertata impossibilità materiale del ripristino “quo ante” è invece possibile laddove si tratti di:
interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti in assenza di permesso di costruire o in totale difformità (ai sensi dell’articolo 33 del Testo Unico Edilizia, D.P.R. 380/2001);
interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire (ai sensi dell’articolo 34 del Testo Unico Edilizia, D.P.R. 380/2001);
interventi eseguiti in base a permesso annullato (ai sensi dell’articolo 38 del Testo Unico Edilizia, D.P.R. 380/2001).
Obiettivo è quello di tutelare l’integrità strutturale di quegli edifici che nascono legittimi o da un titolo legittimo, ma che – in fase di costruzione o successivamente – abbiano subito trasformazioni o rilevanti difformità su una parte dell’immobile.
Come riporta Scuderimottaeavvocati.it, l'effetto sanante dell'abuso è ammesso nel caso di cui al punto iii., e ciò per espressa disposizione legislativa, poiché il comma 2 dell’articolo 38 del T.U. Edilizia sopra citato, stabilisce che “…l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36…”.
Analoga disposizione non si rinviene con riguardo agli interventi di ristrutturazione edilizia di cui al superiore punto 1., né con riferimento agli interventi parzialmente difformi dal permesso di costruire di cui al punto 2.
Ne deriva come non si possa certamente interpretare la fiscalizzazione quale una procedura di sanatoria, né di accertamento di conformità (istituti autonomamente e specificamente disciplinati dagli articoli 36 e 37 del Testo Unico Edilizia).
L’immobile oggetto di misure di fiscalizzazione dell’abuso edilizio (nei casi di cui ai punti 1. e 2. sopra individuati) rimane dunque caratterizzato e afflitto da una difformità “non rimovibile”; in via sostanziale, non potrà essere demolito, né sanato.
Altra questione è l'individuazione (prevista agli articoli 33 e 34 del Testo Unico Edilizia) della misura della sanzione.
Il Consiglio di Stato – con l’Ordinanza del 13 luglio 2023, numero 6865 – ha rimesso all’Adunanza plenaria (ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a.) il dubbio interpretativo sulla quantificazione della sanzione pecuniaria applicata ai sensi dell’art. 33, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
L’articolo 33 del Testo Unico Edilizia, relativo agli Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, prevede per il caso in cui il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile l’irrogazione di “…una sanzione pecunaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato con riferimento alla data di ultimazione di lavori in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978 n.392 e in base alla data di esecuzione dell'abuso sulla base dell'indice Istat in merito proprio al costo di costruzione.
Tutto è nato nel 2001 a Bormio, a seguito di un provvedimento di fiscalizzazione dell'illecito e impugnazione davanti al Tar della Lombardia dopo aver accertato che la demolizione dell'abuso avrebbe arrecato danni alle altre unità immobiliari legittimamente costruite.
La fiscalizzazione dell’abuso edilizio rappresenta un meccanismo giuridico complesso, introdotto dal D.P.R. 380/01, che offre una soluzione alternativa alla demolizione per gli interventi edilizi irregolari.
Questo concetto di fiscalizzazione si applica solo agli interventi realizzati in parziale difformità dal titolo abilitativo all’intervento edilizio o (eccezionalmente) agli interventi di ristrutturazione eseguiti in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire, i quali, secondo la legge, devono essere rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell’abuso edilizio.
In base a quest’ultimo caso, la fiscalizzazione diviene un’opzione quando, a seguito di un accertamento dettagliato, si constata che il ripristino dello stato originario non è fattibile senza provocare danni irreparabili alla parte dell’edificio eseguita in conformità al titolo edilizio.
Nello specifico, la fiscalizzazione - come si legge su biblus.acca.it -, come visto, è concessa soltanto in specifici scenari in cui si verifica un’oggettiva impossibilità di procedere alla demolizione, i quali sono contemplati negli artt. 33 e 34 del D.P.R. 380/2001 testo unico edilizia.
L’art. 33 del D.P.R. 380/01 (Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità) stabilisce che se vengono effettuati interventi o lavori di ristrutturazione edilizia senza ottenere il permesso o se si discostano completamente da esso, il Comune può ordinare la rimozione o la demolizione delle opere. Tuttavia, il comma 2, specifica che se, secondo una valutazione dell’ufficio tecnico comunale, non è possibile ripristinare lo stato originario del luogo, il dirigente o il responsabile dell’ufficio può infliggere una sanzione pecuniaria:
Qualora, sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecunaria […]
L’art. 34 del D.P.R. 380/01 (Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire) stabilisce che, se gli interventi o le opere sono realizzati in modo diverso da quanto previsto nel permesso di costruire, chi ha commesso l’errore deve rimuovere o demolire le parti non conformi entro un periodo stabilito dall’ordinanza del dirigente o del responsabile dell’ufficio comunale. Se ciò non avviene entro il termine indicato, il Comune provvederà alla rimozione o demolizione a spese della persona responsabile dell’abuso.
Pertanto, il requisito fondamentale per l’applicazione della sanzione pecuniaria come alternativa alla demolizione si basa su una relazione dettagliata da parte dell’ufficio tecnico comunale che, in modo oggettivo sotto il profilo strutturale, attesti:
nell’ipotesi dell’art. 33 che il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile;
nell’ipotesi dell’art. 34 che la demolizione della parte eseguita in parziale difformità non possa avvenire senza arrecare pregiudizio alla parte eseguita in conformità.
Ma la fiscalizzazione dell’abuso edilizio e la sanatoria edilizia non sono la stessa cosa, di fatti la fiscalizzazione non costituisce una sanatoria a tutti gli effetti.
Ma la sanatoria tradizionale produce una regolarizzazione completa, mediante il pagamento di una sanzione e concedendo, di fatto, un titolo abilitativo per gli interventi abusivi. La fiscalizzazione, invece, agisce in modo più circoscritto, mirando a risolvere il problema senza ricorrere alla demolizione totale dell’opera abusiva ma non elimina l’illecito edilizio.
Pertanto:
la sanatoria “sana” l’abuso edilizio e lo regolarizza;
la fiscalizzazione consente di non demolire la struttura ma non regolarizza l’illecito.
Il Tar Lazio, con la sentenza n. 18133/2023, ha affrontato la questione della demolizione di un abuso edilizio, specificando che la demolizione dell’abuso edilizio non è ammessa se compromette l’integrità del fabbricato.
Nello specifico, la sentenza esamina un caso concreto di rifiuto di condono edilizio in un’area vincolata, seguito da un’ordinanza di demolizione e una sanzione di 15.000 euro.
Il privato contesta l’ordine di demolizione sostenendo che potrebbe danneggiare la stabilità dell’edificio legalmente realizzato.
Il Tar Lazio, in risposta, evidenzia la necessità di verificare attentamente la possibile interferenza strutturale derivante dalla demolizione di opere abusive e sottolinea l’importanza di una valutazione tecnica approfondita.
In conclusione, il Tar Lazio accoglie il ricorso del privato, annullando l’ordinanza di demolizione e la sanzione pecuniaria, poiché non è stata condotta un’adeguata valutazione della stabilità dell’edificio rispetto alle opere abusive. La sentenza sottolinea l’importanza di una valutazione tecnica accurata prima di dare corso alla sanzione demolitoria, garantendo così la tutela dell’integrità strutturale degli edifici legalmente realizzati.
FONTE AGEEI