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Convegno con Montanari sull'antifascismo, Petrelli: "A Terni? Parliamone…"

Giulio Bucchi
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In occasione dell’80° anniversario dell’arrivo degli alleati a Terni, l’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti ha organizzato Siate fieri di noi! L’irriducibile antifascismo del ventennio, convegno e mostra cui interverranno, tra gli altri, il Magnifico rettore dell’Università per Stranieri di Siena Tommaso Montanari con una intervista video. Abbiamo domandato qualcosa in più a Marco Petrelli, collaboratore ternano di Libero ed autore de “I partigiani di Tito nella Resistenza Italiana” (Mursia, 2020). 

"Che ANPPIA ed ANPI – spiega Petrelli - promuovano convegni sul periodo della guerra civile è normale e lecito poiché rientra nel ruolo stesso delle due associazioni. Diverso è ciò che si vuole comunicare, considerando anche una platea di relatori in cui manca l’elemento contraddittorio"
"L’irriducibile antifascismo del ventennio": l’opposizione di Terni a Mussolini fu davvero così dura?
"Terni è una città di forte tradizione operaia, retaggio sul quale le forze di sinistra hanno costruito il loro consenso per tutta l’età repubblicana. Durante il fascismo Terni fu un importante centro produttivo ed urbano, elevato dal Regime al rango di provincia nel 1927, ammodernato negli anni ‘30 e poi profondamente ferito dai bombardamenti anglo-americani. Fra il ‘22 ed il ‘43 l’opposizione a Mussolini fu come nel resto del Paese: isolata, condotta da pochi oppositori, fra chi non si era allineato in nome dell’italianissimo quieto vivere o che non era in esilio all’estero".
Irriducibile è dunque troppo? 
"Ripeto, dipende da ciò che si vuole comunicare. Dal ‘45 fino ai giorni nostri è stata alimentata l’idea dell’italiano vittima del fascismo, che poi si riscatta con la resistenza. Gli Italiani furono in verità vittime e complici del regime, subendo da un lato la privazione delle libertà e adeguandosi dall’altro al nuovo corso. Un esempio? Quando nel 1931 si chiese agli accademici di prestare giuramento a Mussolini, su 1200 professori universitari italiani solo 15 non giurarono. Vero che le dittature ricorrono alla paura ed alla repressione, ma il consenso è uno strumento altrettanto necessario e potente".
A Terni vi fu più antifascismo prima o dopo l’Armistizio? 
"Direi dopo e grazie ad alcuni prigionieri di guerra jugoslavi fuggiti dai luoghi di internamento di Spoleto e di Colfiorito. Questi fondarono le primissime formazioni partigiane del luogo, i battaglioni ‘Tito 1’ e ‘Tito 2’, in competizione (se non in aperto contrasto) con la banda militare del capitano Melis. Gli slavi furono determinanti per la formazione della futura Brigata ‘Gramsci’ sia sul piano addestrativo sia su quello motivazionale ed organizzativo. Si trattava però di prigionieri evasi, soli in un Paese che li aveva imprigionati, animati da nazionalismo e dall’adesione all’ideologia titina e si facevano dunque pochi scrupoli. Combattevano lo stesso nemico, i tedeschi, ma con la speranza di tornare a casa, non certo di ‘liberare’ Terni e l’Italia".
A Melis ed ai titini uno storico locale dedicò un ciclo di saggi piuttosto contestato da sinistra… 
"La memoria storica ternana sulla resistenza non è mai stata supportata da ricca documentazione. Il grosso di ciò che si pretende di conoscere si basa infatti sui diario di Alfredo Filipponi, comandante della ‘Gramsci’ e di Svetozar Lakovich, comandante montenegrino del battaglione Tito. Alcuni opuscoli, brevi scritti e buoni annonari sono inoltre conservati in una raccolta, conservata dalla Biblioteca di Terni, realizzata nel 1975 in occasione del 30° della fine della guerra. Nel suo ciclo di saggi l’avvocato Marcello Marcellini ebbe il merito di approfondire la storia locale con una ricerca ad ampio raggio, svolta in archivi statali come l’ACS e negli archivi di fondazioni e di privati, ampliando così lo spettro della ricerca sull’attività partigiana nel ternano".
E…? 
"E il quadro che ne emerse ridimensionò molto la ‘Gramsci’, la cui effettiva operatività si riduceva a pochi mesi fra il febbraio ed il giugno 1944, con assalti a presidi e caserme della Guardia Repubblicana e con la costituzione di quella che fu chiamata ‘prima zona libera d’Italia’, un’area aspra e montuosa fra Terni e Norcia ma al di fuori delle zone d’operazione. La ‘Gramsci’ sarà poi colpita dal rastrellamento tedesco di Leonessa dell’aprile ‘44, che ne ridusse drasticamente gli organici, spingendola su un altro campo, quello della caccia alle spie o presunte tali… Maceo Carloni fu una delle vittime più note di questa caccia".
L’evento in biblioteca ha già suscitato qualche mal di pancia? 
"La politica non è il mio campo, comunque non credo. A Terni c’è sempre stato un generale disinteresse per le vicende della guerra civile e ciò ha permesso di sedimentare, negli anni, un’idea collettiva della resistenza ben poco realistica. Chi in passato ne ha scalfito l’aura di leggenda è stato duramente contestato, mentre oggi il suddetto disinteresse sembra farla da padrone. Quattro mesi fa, in occasione del Giorno del Ricordo, nessuno si espresse circa l’intervento ad un evnto in biblioteca di Claudia Cernigoi, le cui posizioni su foibe ed esodo sono ben note. Quando lasciai il Comitato 10 Febbraio, lessi di grandi progetti da parte della nuova gestione. Ad oggi, invece, ho visto solo accadere ciò che avevo sempre cercato di evitare: una sua politicizzazione".
Eppure in Italia l’antifascismo isembra davvero irriducibile… 
"L’uso e l’abuso del termine rischiano di svuotare l’antifascismo ed i suoi valori. Non parliamo infatti dell’antifascismo di Croce e di Craveri, semmai di una sua parodia piazzaiola di cui ci si serve in ambiti che con la ricerca storica nulla hanno a che vedere. La Storia dovrebbe essere libera dalla politica e dai partiti. Chissà, forse un giorno ci arriveremo!". 

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