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Cento anni di Radio. Da Radio West a Radio Esercito il passo è… un libro di Marco Petrelli

Giulio Bucchi
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“Qui Radio West. For peace for people” era il tormentone della celebre radio militare ideata e condotta dal contingente italiano nell’ambito della Missione di pace in Kosovo, KFOR. Una radio che si collegava direttamente alla tradizione nostrana delle emittenti di peacekeeping: Radio Beirut, Radio Ibis e, più tardi, Radio Bayan West. E che forse è stata anche d’ispirazione per Radio Esercito, oggi unica emittente radiofonica dell’intero comparto difesa.

Storia e presente della capacità dei nostri militari di farsi comprendere ed amare anche on air raccontati da Marco Petrelli, collaboratore di Libero di vecchia data, autore di Frequenze Radio di Guerra. Trasmissioni estere, radio clandestine e comunicazioni operative, 1934-1999, appena pubblicato da Mursia… proprio nel centenario delle prime trasmissioni!

Gli italiani sono dunque un popolo “radiofonico”? 
“Gli italiani sono, in primis, grandi comunicatori, capacità questa fondamentale tanto per tessere solide relazioni internazionali e commerciali quanto, oggi, nei teatri di crisi dove le forze armate sono impegnate a mantenere sicurezza, stabilità e pace. Più  che “radiofonici” direi che noi italiani siamo veri propri pionieri della radio: Radio Bari, ad esempio, che trasmetteva in lingua araba verso Medio oriente e Balcani, fu d’ispirazione alla BBC per la più celebre Radio Londra divenuta icona, su frequenze AM, della lotta al nazismo”.
Come conciliare l’esperienza di Radio Bari e quella di Radio West? 
“Due periodi storici differenti, due contesti diversi, due radio con finalità agli antipodi: la prima aveva infatti lo scopo di fidelizzare l’ascoltatore arabo al fine di sobillarlo, di spingerlo a schierarsi con l’Italia contro il dominio francese e britannico. Radio West fu invece ponte fra le comunità serba ed albanese del Kosovo in una fase della storia balcanica in cui odi secolari fra le etnie si erano riaccesi, trovando il loro drammatico apice con la guerra e con la polizia etnica. Fatte queste premesse, raccontare l’esperienza delle due radio non è stato impossibile: Frequenze Radio di Guerra ricostruisce il ruolo delle psyops (psychological operations) nei principali conflitti del XX Secolo. Entrambe le emittenti meritano dunque spazio in un saggio che, peraltro, esce proprio nel centenario della radio come noi la conosciamo”.
Psyops, cioé? 
“Definizione tecnica: - operazioni volte a trasmettere informazioni e indicatori selezionati a un pubblico per influenzarne la percezione – La missione di Radio Bari, così come Radio Londra e Radio Mosca, era raggiungere il pubblico di paesi neutrali, nemici o sottomessi a potenze rivali,  rivolgendo loro messaggi in aperta antitesi con l’informazione ufficiale. Ciò non significava che i messaggi da essere inviati fossero la verità assoluta: anche Radio Londra, ‘voce di libertà’ che bucava la propaganda del regime fascista in Italia e nazista nell’Europa occupata, non agiva certo per filantropia ma per vincere la guerra. Nelle missioni di peacekeeping, invece, la psyops riflette lo spirito della missione stessa: non conquistare e sottomettere ma informare la popolazioni sui propri diritti, sui pericoli degli ordigni inesplosi, sulla necessità di non dividersi fra etnie e di collaborare, stringendo la mano tesa dai contingenti internazionali”.
Dunque Radio Esercito è una radio psyops? 
“No, assolutamente. Il compito di Radio Esercito è sì essere un ponte, certo non per influenzare il pubblico ma per fare in modo che quel pubblico conosca di più il mondo dell’Esercito, fra una canzone in onda, un messaggio in redazione, un approfondimento culturale, sportivo, di cinema…”
Linea editoriale da radio commerciale? 
“Direi canale istituzionale della Forza Armata. Radio Esercito raccoglie due eredità, quella di Radio West e quella di Radio Pavia28, della prima riprende l’esperienza dei militari speaker che intrattengono nell’idea che – musica e stellette possono andare d’accordo – per citare l’originale, cioè i dj di RW. Dalla seconda, quel carattere sperimentale che ha permesso di trasformare un’idea avuta a Pesaro, in una realtà ormai consolidata e conosciuta. Tutto il resto lo ha fatto un team di ragazzi under 40 i cui lavoro e professionalità nulla hanno da invidiare alle emittenti private”.
Quante altre radio ha analizzato nel suo libro? 
“Voice of America e Radio Free Europe, quest’ultima ancora in attività sia in Europa sia con la sua divisione afgana. Poi, Radio Mosca e le sue ‘discendenti’ Sputnik e Russia Today; AFVN (Armed Forces Vietnam Network) scoprendo che ‘Good morning Vietnam’ è tutt’altro che un’invenzione cinematografica, Radio Saigon e Radio Werwolf. Ho anche approfonito i rapporti – on air e diplomatici – fra il nazionalismo arabo ed i fascismi”.
Tema d’attualità… Avrà certamente citato il Gran Muftì di Gerusalemme! 
“Amin al-Husseini, guida religiosa e nazionalista arabo impegnato nella lotta contro il dominio inglese in Palestina. Iniziò nei primi Anni Trenta, tenendo contatti con Mussolini dal quale ricevette anche sovvenzioni nell’ordine di circa trentamila sterline. Ma fu poco fedele agli italiani, preferendo il Fuhrer al Duce. Questa scelta è probabilmente dettata da due ragioni: il Reich, a differenza dell’Italia, non era una potenza coloniale dunque non vi era il rischio che, al dominio di Londra, si sarebbe potuto sostituire quello di Roma. Poi, nella Germania nazista l’antisemitismo era perno della politica razziale del nazional-socialismo. Fu al-Husseini, d’altronde, a spingere Berlino affinché volontari musulmani prestassero servizio nell’esercito e nelle Waffen SS. La divisione Handschar, formata da islamici bosniaci, kosovari, turchi, siriani, palestinesi ne è un esempio eclatante… di cui oggi si ha però poca memoria, altrimenti dovremmo ammettere che i palestinesi, al pari di italiani, tedeschi e giapponesi, hanno perso la guerra e come i paesi dell’Asse anche loro hanno subìto pesanti modifiche territoriali". 
A curare la prefazione è il comandante del 28° Reggimento “Pavia” dell’Esercito, il colonnello Antonio Di Leonardo. Perché un militare? 
“Legga la prefazione del comandante e capirà perché mi sono rivolto a lui. La mia non è stata una scelta casuale: se è vero che musica e stellette possono andare d’accordo, fra persone che condividono passione e amore per la storia la sincronia è immediata, che si sia militari o civili. Ma, appunto, legga la prefazione. Poi, naturalmente, tutto il libro!”.
 

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