Le challenge in rete diventano sempre più un’emergenza. Dopo il caso di Leonardo Di Loreto, il 27enne trovato morto davanti al suo personal computer con una maschera antigas sul volto e una bomboletta di liquido refrigerante in mano lo scorso 24 agosto, a Roseto degli Abruzzi, in provincia di Teramo, il programma “Psiche Criminale - Crimini digitali”, in onda sul canale 122 *Fatti di Nera*, si è occupato di quella che potrebbe essere una tragica “gas mask challenge”. Il caso resta sospeso tra le ipotesi di suicidio, gioco erotico finito male e, appunto, una tragica sfida social. Da ciò che è emerso finora, il giovane Leonardo conduceva una doppia vita su Internet e sui social: un “puppy player”, come viene chiamato un appassionato di giochi di ruolo a tema animale, ma in ambienti sadomaso; precedentemente, però, aveva provato a sondare la strada lavorativa del content creator in ambito informatico e tecnologico ed aveva anche un canale YouTube. Amici e conoscenti parlano solo bene di Leonardo: il classico bravo ragazzo, socievole e pieno di vita, che qualche giorno prima della morte stava programmando un viaggio in Germania, dove era già stato diverse volte e dove sognava un giorno di trasferirsi.
Ma la questione delle challenge, delle sfide trasmesse sui social, riguarda sempre più ragazzini, di età in calo. Il 6% degli adolescenti tra gli 11 e i 17 anni dichiara di aver partecipato a una sfida pericolosa. Tra queste, negli ultimi mesi, sono state segnalate la “planking challenge”, che consiste nell’irrigidirsi come una tavola sui binari o in una strada trafficata e farsi fotografare, oppure la “train surfing”, cioè arrampicarsi sui treni in movimento e filmarsi.
“Purtroppo sono sfide per mettersi in mostra, per azzardare – ha spiegato William Nonnis, esperto blockchain e analista tecnico del Consiglio dei Ministri – e le piattaforme social hanno colpe limitate perché vivono di sponsor. A loro volta, quando le persone partecipano a queste sfide, spesso in live, vengono remunerate dagli stessi sponsor, che le premiano con voucher, buoni e prodotti. I giovanissimi utenti pensano che facendo qualcosa di sfidante, da casa, vengano pagati praticamente per divertirsi. Potrebbero esserci delle responsabilità, potrebbero aumentare i controlli, ma quando è in gioco il business non conviene fare controlli troppo stringenti. Per gestire le autorizzazioni su certe piattaforme serve l’avallo dei gestori, che ormai sono “stati sovrani” tecnologici. Le big tech non hanno computer e sedi, la loro ricchezza è rappresentata dalle informazioni che gli abbiamo dato noi. Con gli algoritmi che abbiamo oggi non riusciamo ancora a orientarci tra il reale e il percepito. Con lo scrolling, in tre secondi l’algoritmo capisce cosa piace all’utente e gli dà la casa che vuole vivere”.
“Ormai siamo sempre più di fronte a un *homo telematicus* – ha detto l’avvocato Luca Volpe – e il web continua a non essere regolamentato. Bullismo e cyberbullismo, le stesse challenge, forse le facevamo già a scuola prima dell’avvento dei social, ma in maniera differente. Il web è un grande mezzo di comunicazione che amplifica tutto, ed è strano che non ci siano regolamentazioni per le responsabilità. Vanno individuate nuove forme per circoscrivere le responsabilità in capo a queste società. Per applicare il codice penale, la Cassazione dice che il web è una grande agorà, una piazza digitale. Oggi qui sta accadendo qualcosa su cui dobbiamo fermarci tutti: le multinazionali si facciano un esame di coscienza, perché ci sono persone dietro quelle grandi società che stanno caratterizzando da anni anche il voto delle democrazie. Inoltre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un allarme: la solitudine sarà il grande male dei prossimi 50 anni”.
Per lo psicologo Giuliano Ferrari, gli adolescenti partecipano alle challenge perché “nel confronto con il gruppo dei pari c’è paura di essere tagliati fuori. Tra gli 11 e i 14 anni registriamo il dato di morti più frequenti. Bisogna sapere che nelle challenge con tecniche di asfissia o negli atti sessuali in cui si provoca lo strozzamento per provare più piacere, bastano appena dieci secondi per perdere conoscenza. Se si indossa una maschera collegata a un gas e si è soli in casa davanti a un computer, nessuno può aiutare. Se in dieci secondi si perde conoscenza, in cinque-dieci minuti si muore”.
“Purtroppo – ha aggiunto Barbara Fabbroni, psicologa e psicoterapeuta – noi commentiamo i fatti quando sono già accaduti. Quel giovane adulto ha vissuto i suoi 27 anni all’interno di dinamiche relazionali, nel suo mondo; per capire cosa gli sia successo, bisogna indagare nella sua esistenza. Quello forse era un modo per colmare un vuoto che aveva dentro di sé. Aveva trovato una risposta ai suoi bisogni in quella challenge. Oggi bisogna avere un occhio attento al perché i giovani cercano queste sfide, che bisogno si cela dentro di loro. In quella vita segreta si annida quel bisogno spesso non riconosciuto, che non hanno la possibilità di esprimere, e noi dobbiamo provare a comprendere la radice fondante di questo bisogno. La Generazione Z ha sentito profondamente la grande trasformazione che è in corso, soprattutto nella gestione del rapporto con l’altro. Durante l’adolescenza, i ragazzi sono portati a sperimentare: c’è voglia di mettersi alla prova, di cercare eroi positivi, che forse oggi mancano. Poi c’è l’aspetto legato alla solitudine e quello sociale, dove c’è bisogno di trasgredire, anche attraverso le challenge: così si sentono uguali agli altri. Tutta questa trasformazione porta verso pericoli che non sappiamo ancora affrontare”.
Secondo la psicologa forense Roberta Catania, “la volontà di avvicinarsi al rischio per ottenere una gratificazione, il riconoscimento sociale, è sempre esistita, è parte integrante dell’adolescenza. Il problema non è essere attratti dal rischio, ma i social, le visualizzazioni, i like aumentano la possibilità che si alzi il tiro”. Secondo la psicologa e psicoterapeuta Ilaria La Mura, “il Covid ha amplificato alcune problematiche nei rapporti e il senso di solitudine”.