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Saman Abbas uccisa da "Islam e ignoranza". Parola dei giudici di Bologna

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Claudia Osmetti
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Non lo diciamo noi, lo dicono i giudici del Riesame di Bologna: Saman Abbas è stata uccisa «in una terribile sinergia tra i precetti religiosi e i dettami della tradizione locale, che arrivano a vincolare i membri del clan a una rozza, cieca e assolutamente acritica osservanza pure della direttiva del femminicidio». La religione in questione, parliamoci chiaro, è quella islamica: non ci sono solo le vicende di Kabul, coi disgraziati che cercando di scappare dalla Sharia, ci sono anche i fatti di casa nostra. Quelli che abbiamo sulla coscienza, quelli sui quali non possiamo chiudere gli occhi. Di Saman non si hanno notizie da quattro mesi. Il suo corpo non è ancora stato ritrovato, la sua famiglia è scappata in Pakistan, suo cugino, Ikram Ijaz, è a tutt' oggi l'unico arrestato per il brutale omicidio di una 18enne che chiedeva solo di sposarsi per amore. Con chi voleva lei, con chi amava lei. È per confermare lo stato di fermo, in carcere, di Ijaz, che si sono riuniti i giudici bolognesi, a fine agosto, in un'estate carica di atrocità che lasciano poco spazio per i dubbi di sorta. Nell'ordinanza lo scrivono papale, i magistrati: certe regole musulmane, unite a certi usi che nulla hanno a che vedere con il mondo libero, portano alla violenza. All'abuso più infimo di tutti, quello sulle donne, quello sulle ragazzine. No, non possiamo accettarlo. Il tribunale del Riesame di Bologna fa quello che non han fatto, in settimane, le femministe nostrane, sempre pronte a sbracarsi quando la polemica è inutile e mute fino all'ipocrisia quando episodi del genere toccano la sensibilità religiosa. Però, adesso, anche basta: è arrivato il momento di parlare pane al pane, di dirlo senza mezzi termini. Per «fare a pezzi Saman» è stata indetta persino una riunione segreta: nell'aprile scorso, nell'appartamento di Novellara degli Abbas, presente lo zio della giovane donna, Danish Hasnain, considerato l'autore materiale del delitto e tuttora ricercato, e un altro parente. Un incontro di famiglia, solo che anziché di pettegolezzi sui vicini o di altre amenità, loro han parlato delle modalità con cui far sparire il cadavere della ragazza, smembrandolo.

 

Lo ha raccontato, durante l'incidente probatorio del caso, il fratello minorenne di Saman: lui, un bambino, che a un certo punto ha sentito un partecipante dire, come se fosse la cosa più naturale del mondo «io faccio piccoli pezzi e, se volete, porto anch' io a Guastalla. Buttiamola là, perché così non va bene». L'orrore, di conradiana memoria. Secondo il Riesame, sarebbe stato proprio Ijaz (il cugino) a scavare la buca che avrebbe accolto il corpo, o quel che ne resta, di Saman. L'avrebbe fatto il 29 aprile, con un giorno di anticipo sull'omicidio. Per arrivare preparati. «L'ipotesi più probabile e qualificata- continuano i giudici, - è che i cugini (Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, anche lui presente alla riunione "organizzativa") abbiano anche partecipato alla materiale esecuzione dell'omicidio», per il quale come detto il principale sospettato resta lo zio Hasnain. Novellara, Emilia Romagna, Italia: tutto questo è successo nel giardino di casa nostra, è bene ricordarlo. E poi c'è un altro aspetto, se si vuole ancor più agghiacciante: da Ijaz, sostengono sempre i magistrati, «non è emerso il benché minimo senso di commozione per la terribile sorte della giovane» né un ripensamento «sulla correttezza etica di quei dettami della tradizione in ossequio ai quali l'omicidio è stato commesso». Va da sé che il termine "tradizione" (usato qui asetticamente, seppure in una chiave doverosamente critica), a noi sembra fin troppo "nobilitante": quella che ha subito Saman è una barbarie. A tutti gli effetti.

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