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Vicenza, imbarazzo in magistratura: nel tribunale del moralismo sono vietati pure gli sguardi

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Daniela Mastromattei
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«Questo è un luogo di lavoro non di corteggiamento, né tantomeno di condotte discriminatorie o lesive», con queste parole il presidente del Tribunale di Vicenza, Alberto Rizzo, cerca di giustificare il nuovo codice di comportamento al quale si dovranno attenere non solo gli oltre 200 dipendenti, tra amministrativi, avvocati, giudici e magistrati del palazzo di Giustizia, ma anche «tutti i soggetti che hanno rapporti contrattuali, di appalto e di collaborazione con l'ente e il suo personale». Non c'è spazio per telefonate tra colleghi, infinite pause di caffè, amoreggiamenti e dintorni negli orari di lavoro. Ma il decalogo di Rizzo va oltre, con l'obiettivo di frenare il genere maschile abituato a fare commenti spesso volgarotti: vieta gli «apprezzamenti verbali sul corpo»; «le allusioni alla vita privata sessuale», «gli apprezzamenti rozzi».

 

 

Va a bloccare sul nascere quegli atteggiamenti ammiccanti che arrivano prima delle proposte indecenti (richieste tacite di rapporti sessuali in cambio di promozioni o vantaggi) che dovrebbero essere già universalmente riconosciute come inaccettabili in qualunque ambiente. E denunciate. Come insegna il movimento Me Too contro le molestie sessuali e la violenza sulle donne esploso nell'ottobre del 2017. Leggendo meglio, si scopre però nel nuovo codice sui rapporti interpersonali imposto dal tribunale un moralismo bacchettone che va a proibire persino «gli sguardi insistenti», «i discorsi a doppio senso» e «le allusioni». Sinceramente difficili da decifrare. I margini sono tutt'altro che netti. E poi con quale metro di giudizio? E di chi? Chi stabilisce che uno sguardo è insistente? Dipende dalla durata o dall'intensità? E chi è lì pronto a cogliere l'attimo fuggente tanto caro a Robin Williams? Addio complimenti della serie «come stai bene con questo vestito», «che belle scarpe». Guai a parlare di lunghezze della gonna. Bocche cucite di fronte a un tacco 12. Non sono ammessi commenti.

Ovviamente, non se ne parla neanche di criticare l'aspetto fisico di una collega o di un collega (body-shaming). Non si era mai visto un tribunale così blindato... contro le molestie. Galanterie ai minimi storici, per non essere fraintesi. Niente gentilezze, né omaggi floreali. Certo ne saranno felici le donne continuamente tormentate e ammorbate con gli inviti a cena. Che devono declinare con scuse plausibili per non risultare sgarbate. Se Cupido volesse metterci lo zampino e far scattare la scintilla tra due colleghi non sapremo mai se era vero amore. Direbbe Alexandre Dumas, «non c'è nulla di impossibile per un vero amore». Non la pensa così il presidente del tribunale di Vicenza che spiega in un'intervista al Corriere del Veneto: «Chi lavora qui dentro ha il diritto di svolgere le sue funzioni in un ambiente che garantisca il rispetto della dignità di ciascuno, evitando ogni tipo di comportamento inopportuno o indesiderato».

 

 

Finiscono in pensione i corteggiatori insistenti. Rizzo aggiunge: il nostro vuole essere un codice che garantisca a tutti, donne ma anche uomini, un palazzo di Giustizia protetto non solo dalla molestia, o, ancor peggio, dai ricatti di natura sessuale, ma anche da tutti quegli atteggiamenti che possono risultare umilianti o fastidiosi per chi li subisce, e che a volte si rivelano propedeutici ad azioni ben più gravi. Il fine è prevenire ogni possibile rischio». Ed evitare che ricapiti la spiacevole situazione che ha visto un volontario allungare le mani su una neolaureata, stagista, proprio al tribunale di Vicenza. E per buona pace di tutti, oltre al decalogo, sono stati individuati sei consiglieri per vigilare sul rispetto delle regole. 

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