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Silvio Berlusconi, l'assalto delle toghe rosse: "Perché va escluso dalla corsa al Colle"

Fausto Carioti
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Ora, davvero, nella partita per il Quirinale non manca più nessuno. L'assenza delle procure s' iniziava a notare, perché per certe toghe, soprattutto inquirenti e di area progressista, condizionare l'attività del parlamento è una seconda attività professionale, se non la prima. Tutto normale, invece: l'ingranaggio che collega magistratura e sinistra funziona ancora e ha ricominciato a girare. Intervistato da Libero poche settimane fa, Carlo Nordio, a lungo procuratore a Venezia e raro esempio di magistrato liberale, aveva messo in guardia: «L'esperienza ci insegna che le figure emergenti della politica che intendono riformare la giustizia vengono raggiunte da informazioni di garanzia o delegittimate da fughe di notizie sapientemente pilotate. È successo con Berlusconi, con Salvini e con altri, e ora con Renzi. È plausibile che in vista dell'elezione del presidente, o delle prossime elezioni politiche, lo stesso capiti a qualche altra personalità».

 

 

LA RIESUMAZIONE
Da allora, si è già assistito alla riesumazione delle «rivelazioni» dei Graviano e degli Spatuzza: privi di credibilità giudiziaria, ma sempre utili per delegittimare mediaticamente Silvio Berlusconi, l'unico ritenuto capace, da capo dello Stato e dunque presidente del Csm, di ristabilire l'equilibrio di poteri tra gli eletti dal popolo e i pm. Difficile, infatti, credere che novità di rilievo per l'ordinamento giudiziario possano essere promosse da un Giuliano Amato o un Paolo Gentiloni, e nemmeno da Marta Cartabia o dallo stesso Mario Draghi. Quello delle inchieste e dei verbali vecchi di trent' anni disseppelliti da giornali come L'Espresso e Il Fatto è un fronte dal quale arriveranno altre sorprese, ma non è l'unico strumento con cui la magistratura rossa cerca di influenzare l'elezione del presidente della repubblica. I referenti politici restano fondamentali. Lo si è visto nel patto a tre che hanno stretto Enrico Letta, Giuseppe Conte e Roberto Speranza. Ossia i leader di un Pd sempre più spostato a sinistra, di ciò che resta dei Cinque Stelle e del cespuglietto chiamato Leu.

 

 

È stato Conte a proporre il criterio al quale tutti loro si sarebbero dovuti attenere: «Non può presiedere il Csm chi ha avuto controversie pregresse con i magistrati». Non c'è stato bisogno di discuterne, Letta e Speranza lo hanno sottoscritto al volo. È la ricostruzione che ne ha fatto ieri il Corriere della Sera e che nessuno dei tre ha smentito. Perché mai avrebbero dovuto? Per loro, l'obbedienza alle indicazioni della magistratura è motivo d'orgoglio. Di tutte le motivazioni con cui potevano opporsi a Berlusconi, questa è la peggiore. Il principio secondo cui chi ha avuto contenziosi con i pm non può salire al Quirinale toglie al parlamento, ossia all'unica istituzione eletta dal popolo sovrano, il potere di scegliere il capo dello Stato. Viene introdotto un veto che non è quello della legge, per la quale Berlusconi è candidabile ed eleggibile, ma delle singole procure, organi non elettivi e irresponsabili. Una sorta di pena accessoria, slegata da ogni condanna: "attenzionare" un politico o un'altra figura pubblica non solo gli rovina la vita, ma lo rende pure ineleggibile per la più alta carica dello Stato.

 

 


LA "GARANZIA" AMATO
È anche la conferma che Letta si trova su un binario morto. Spiazzato dall'iniziativa di Berlusconi, non è riuscito a trovare un candidato alternativo capace di dividere il fronte del centrodestra. L'unica iniziativa su cui è riuscito ad raggiungere un'intesa, ma solo con i suoi alleati, è proprio la conventio ad excludendum nei confronti del Cavaliere. Per il resto, buio pesto. Letta è possibilista su Draghi, il quale, però, accetterebbe l'investitura solo se sorretto da un'ampia maggioranza. Non ha alcuna intenzione di correre come candidato del solo Pd e al momento, col centrodestra più o meno compatto su Berlusconi e i Cinque Stelle terrorizzati dal voto anticipato, è proprio questo ciò che rischia. A Letta serve un'altra carta, dunque. Ce l'avrebbe pure, ma ora non può calarla, perché sa che gliela brucerebbero: è Giuliano Amato. Una garanzia per chi, nel Csm e nella magistratura, confida che anche stavolta nulla cambi. 

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