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Roberto Calderoli, il 'golpe' dei magistrati: "Come vogliono impedire agli italiani di votare"

Antonio Rapisarda
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«Ho visto coi miei occhi persone di cui il Senato ha autorizzato l'arresto venire poi assolte». Per Roberto Calderoli, senatore leghista fra i più esperti in Parlamento, gli errori giudiziari incidono, eccome, nella qualità della democrazia. I casi clamorosi sono tanti. Ma il problema vero, a suo avviso, è quando la malagiustizia coinvolge «i normali cittadini». Vicende che mediaticamente non emergono e che invece rappresentano un «vulnus incredibile».

 

 

 

Un problema anche per la tenuta sociale ed economica quando interessano pezzi importanti della nostra argenteria...
«Sarà perché è fresca, però il fatto che quelli di Mps siano stati condannati a 7 anni in primo grado e poi in Appello assolti tutti è difficile da digerire. Il problema è che quando svolgono delle indagini il clamore è altissimo: quando poi la cosa si chiude senza nulla nessuno scrive niente. Il danno lo hai fatto. Il rimedio non c'è».

Ma il quesito referendario depennato dalla Consulta è stato proprio quello sulla responsabilità diretta dei magistrati.
«Sono rimasto allibito. Perché un quesito identico era stato accolto nel 1987. E l'80% degli italiani votò a favore. Dopodiché fecero la legge Vassalli per cui a posto della responsabilità diretta del magistrato fu chiamato come intermediario lo Stato per risarcire; e poi eventualmente lo Stato poteva avvalersi sul magistrato. Non si capisce, infine, perché l'articolo 28 della Costituzione prevede che questa responsabilità sia rivolta a tutti i dipendenti pubblici e non ai magistrati».

Non sembra l'unico privilegio: li troviamo, a frotte, fra gli alti burocrati.
«Già, mentre dovrebbe esserci una sana distinzione fra tutti i poteri previsti della Costituzione, loro di fatto riescono ad intervenire a ogni livello. Dalla Presidenza della Repubblica ai gabinetti dove troviamo tantissimi magistrati. Vai al governo poi, che è il potere esecutivo, e i decreti e le varie leggi sono ancora scritte da magistrati. Quando poi finalmente si arriva in Parlamento, sugli emendamenti che presenti c'è il parere del governo che poi a sua volta è espresso per il 90% da giudici ordinari o amministrativi che lavorano presso Palazzo Chigi. Capisce che è un cortocircuito?».

Sulla riforma della Cartabia siete stati netti: non risolve i problemi della giustizia.
«Purtroppo è come mettere un cerotto a uno che ha un tumore. La gravità della malattia della giustizia non credo possa essere curata attraverso la Cartabia. Un qualcosa per far finta di cambiare qualcosa. Ma di fatto non è che cambi molto...».

 

 

 

Gli italiani col referendum avranno l'occasione di raddrizzare alcune distorsioni del sistema?
«Certamente. L'unica cosa, per blanda che sia, è che la riforma Cartabia guarda caso potrebbe mettere a rischio tre dei quesiti referendari. A me sembra che ci sia un tentativo, a partire da quello che era il quesito più "attrattivo" dal punto di vista dell'interesse del cittadino - che vuole tutti rispondano delle loro colpe -, orientato al non raggiungimento del quorum. Ci hanno dato il 12 di giugno insieme alle Amministrative. Ma lì votano 8 milioni di italiani rispetto ai 45 milioni totali! Il fatto, poi, di averlo fissato in una sola giornata nel primo fine settimana di scuole chiuse, con il forte bisogno della gente di andare in vacanza... Mi sembra che tutto sia organizzato, insieme a una campagna di cui si parla pochissimo. Che qualcuno abbia puntato su quella carta lì: impedire l'affluenza».

Se i referendum dovessero passare, dall'indomani che giustizia avremmo?

«Se si interviene con modalità differenti per la candidatura a membro per il Csm, dove qualunque magistrato possa liberamente candidarsi, questo potrebbe cambiare molto gli schemi correntizi. Il fatto, poi, che anche gli avvocati vengano chiamati a giudicare la professionalità dei magistrati conta tanto perché oggi o quasi tutti vengono giudicati - il 90% - con "l'ottimo". E ancora. Che il giudice sia una parte indipendente rispetto al procuratore questo vuol dire avere veramente il giusto processo: cioè un equilibrio fra accusa e difesa e poi una parte terza che il giorno prima non faceva il procuratore ma ha sempre fatto solo il giudice. Un altro passo avanti sarebbe limitare l'abuso della custodia cautelare, limitarlo perla reiterazione del reato solo ai casi più gravi. Peri nostri amministratori, infine, l'abolizione della legge Severino toglierebbe di mezzo un ostacolo: siccome nessuno è colpevole se non dopo tre gradi di giudizio non si capisce perché esiste una legge che introduce un meccanismo del genere».

A trent' anni da Tangentopoli ci siamo ritrovati il "sistema" raccontato da Palamara. Un crollo di immagine.

«Credo che il libro di Palamara abbia svelato tante cose, alla luce delle quali si capisce di più come siano andate tante vicende legate alla giustizia. Crediamo tutti che il magistrato debba essere l'esempio di trasparenza e di dirittura morale. Vedere, invece, come si procedeva alle nomine o alla collocazione all'interno delle Procure più importanti fa cadere le braccia. E quello che mi sconvolge è che nonostante tutto quello che è uscito praticamente non è successo niente». 

 

 

 

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